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Definizione

Tradizionalmente, ogni haiku (inteso come componimento poetico) contiene almeno una parola che si riferisce a un fenomeno legato ad una delle stagioni dell’anno. Internazionalmente, la definizione termina qui: il kigo è la parola che permette il riferimento stagionale, presente anche nelle forme collaborative di poesia renga (連歌) o renku (連句).

Scendendo però sotto la superficie, il kigo dimostra di essere di più: è un termine che rappresenta la collocazione cronologica della composizione che può realizzarsi con un riferimento diretto ad una stagione o in modo più “nascosto”, che per quanto sia indiretto la indichi inequivocabilmente.

Per alcuni critici, è persino parte stessa dell’esperienza haiku e non quindi un mero artificio letterario imposto dalla tradizione; più in particolare, esso rappresenta la declinazione temporale (il “quando”), il momento in cui l’oggetto percepito (il “cosa”) si unisce alla visione intimistica del poeta e al luogo (il “dove”) in cui tale esperienza si manifesta, sia esso uno spazio fisico, psichico o una scena delineabile esclusivamente dal lettore mediante il processo interpretativo.

Quindi il kigo, al contrario e in virtù di quanto detto sopra, aiuta e facilita la composizione degli haiku perché con poche parole crea un intero mondo di sensazioni, emozioni e connotazioni, vista la particolarità della sua natura.

Inoltre amplia la nostra visione e aiuta a comprendere meglio gli haiku giapponesi.

Gli stessi autori ne ribadiscono ripetutamente l’importanza: secondo Taizō Ebara (潁原 退蔵 1894-1948) «lo hokku poteva essere considerato buono solo qualora il richiamo alla stagione non differiva dal tempo di redazione dello hokku stesso.» e ancora, secondo Nijō Yoshimoto (二条 良基, 1320–1388): «non può esserci armonia tra uomo e oggetto naturalistico se il termine riportato nello hokku non coincide con il processo stagionale.», infine lo stesso maestro Seki Osuga: «il crescente interesse verso la poesia haiku si risolve, sostanzialmente, nell’esegesi della tematica stagionale all’interno della poesia haikai (…) il richiamo alla stagione è un elemento imprescindibile, che non può essere omesso nella costruzione di una poesia.».

   

Storia

Come concetto, il kigo è sempre esistito nella poesia giapponese, anche se sotto altri termini: difatti il termine kigo, composto dagli ideogrammi di go (語 parola) e ki (季 stagione) lo dobbiamo all’haijin Ôsuga Otsuji (大須賀 乙字 1881-1919) che lo coniò nel 1908; prima veniva chiamato: ki no kotoba (季の詞 letteralmente parola della stagione), shiki no kotoba (四季の詞 parole delle quattro stagioni) e talvolta semplicemente ki (季 stagione). 

Il cosiddetto kidai (季題 argomento o tema della stagione) è un termine più generico con il quale si indicano i termini stagionali più antichi, di derivazione cinese; tornando al kigo, le prime parole della stagione registrate come termini da utilizzare in poesia le possiamo trovare nelle vecchie raccolte Man’yōshū (万葉集) e Kokin Wakashū (古今和歌集): la prima, risalente alla metà dell’VIII sec., conteneva diverse sezioni dedicate alle stagioni, mentre nella seconda, realizzata un secolo e mezzo dopo (905 d.C.), le sezioni erano aumentate; entrambe le raccolte sono caratterizzate per contenere altre categorie come poesie d’amore e poesie varie (ゾウ).

In tempi recenti, per comprendere la vastità di kigo da utilizzare e in circolazione, si può ricorrere all’analogia adottata dallo studioso Haruo Shirane che li struttura come una piramide di parole stagionali: alla sommità si trovano i termini più antichi come fiori di sakura (桜の花) per la primavera, hototogisu (不如帰 cuculo) per l’estate, tsuki (つき luna) per l’autunno e yuki (雪 neve) per l’inverno. Man mano che la poesia giapponese si sviluppò, la piramide si allargò e subito dopo la sommità troviamo gli altri termini usati nella poesia classica waka (和歌): pioggia di primavera (春の雨), usignolo dei cespugli (藪鶯) e salice (柳) per la primavera, oche (migratorie) (渡り雁) che ritornano per l’autunno, ecc. che si collocano approssimativamente nel periodo storico tra l’VIII e il XIV sec.

Agli inizi, infatti, solo un numero esiguo di componimenti li contenevano e quando queste parole venivano scritte, parevano più frutto di una fortuita ricostruzione poetica che il risultato di un’immedesimazione con la realtà naturale (il “qui e ora” del poeta).

Scendendo ancora, si aggiungono i termini usati nella poesia classica a catena chiamata renga, come ad es. fiore di paulonia (桐の花) per l’estate, in questo momento, ci troviamo nel periodo Kamakura (鎌倉時代 Kamakura-jidai, 1185-1333) ed è proprio in questo periodo che il kigo diventa un requisito necessario per lo hokku (発句), il primo verso della renga.

In verità, la forma di scrittura della renga,  risale a più indietro, nel periodo Heian (平安時代, Heian jidai, 794-1185), sviluppandosi attraverso l’epoca medioevale. 

Nel XIII sec. esistevano regole molto precise per la scrittura della renga e la sua struttura formale specificava che circa la metà delle strofe dovesse includere un riferimento a una stagione.

Secondo queste regole, l’hokku (la strofa di apertura) doveva includere un richiamo alla stagione in cui veniva composto.

Una forma più leggera di renga chiamata haikai no renga (俳諧の連歌 verso giocoso) fu introdotta verso la fine del XV sec., fu seguita ed elevata da Matsuo Bashō (松尾 芭蕉 1644–1694) e altri fino al periodo Meiji (明治時代, Meiji jidai, 1868-1912).

Inoltre, in questo periodo si comincia a parlare del cosiddetto hon’i (本居), una specie di principio estetico legato ad ogni kigo, che approfondiremo in seguito.

Nel trattato sulla renga, i kigo stabiliti erano già 270, successivamente arriviamo all’epoca di Bashō (1600), quando nella poesia haikai vengono introdotte molte nuove parole di “basso rango”, proibite nella poesia più raffinata quale waka e renga, come ad es. amore dei gatti (猫の愛), soffione (シャワー) e ravanello wasabi (わさび大根), tutti termini riferiti alla primavera.

Nel 1636 venne pubblicata una raccolta di kigo utilizzata dai poeti che conteneva già 590 termini, mentre nel 1648 ne esce un’altra con 1300, a seguire una terza nel 1803, contenente 2600; con l’aumento esponenziale, aumentano le classificazioni: nella scuola fondata da Bashō, i kigo più antichi, usati nella poesia classica, venivano chiamati tatedai (立田台 argomenti verticali, per il loro profondo legame con la tradizione), mentre kigo più recenti o contemporanei venivano definiti yokodai (洋光台 argomenti orizzontali, che non hanno ancora una loro tradizione).

 

Nel periodo Meiji (明治時代, Meiji jidai, 1868-1912), abbiamo già una quantità di parole stagionali ben ampliata e inoltre un numero di termini legati al periodo del Capodanno che formano addirittura una quinta stagione, questo perché con l’accettazione e introduzione del nuovo calendario gregoriano (solare), viene a crearsi una traslazione di date; in aggiunta, in questo periodo storico molte parole e fenomeni di provenienza occidentale diventano kigo in giapponese.

Verso la fine del XIX sec., l’hokku fu completamente separato dal contesto di haikai no renga da Masaoka Shiki (正岡子規 1867–1902), revisionato e scritto come una forma di versi indipendente che ben conosciamo, pur mantenendo il kigo.

Nel periodo Taishō (1912-1926) un movimento artistico letterario cominciò a far cadere completamente il kigo, ma non ebbe molto seguito, nonostante ebbe eccellenti esponenti, ma approfondiremo in seguito nel paragrafo Haiku senza kigo.

Oggi la maggior parte degli haiku giapponesi includono un kigo, anche se molti haiku scritti in lingue diverse dal giapponese lo omettono (vedi per es. haiku in lingua inglese anche di noti scrittori; che verranno approfonditi in un successivo articolo; per l’Italia è previsto un paragrafo a parte).

Tra i kigo del periodo moderno, possiamo menzionare occhiali da sole (サングラス) per l’estate e maschera chirurgica (サージカルマスク) per l’inverno e usata per motivi igienici, ma il processo di creazione di nuovi kigo continua, ad es. la haijin contemporanea Mayuzumi Madoka ha proposto tre nuovi termini: cacao (カカオ bevanda calda) e tisana di erbe (ハーブティー) per l’inverno e guardare le balene (ホエールウォッチング) per l’estate.

Ultima curiosità: in particolare i kigo classici fanno riferimento al clima della zona tra le due capitali, Kyoto (京都市 Kyōto-shi) e Tokyo (東京), nei tempi moderni, invece, nelle regioni più lontane del Paese che hanno un clima ben diverso, vengono creati particolari kigo regionali; inoltre anche gli haijin della diaspora, ovvero emigrati, soprattutto in Brasile e nelle Isole Hawaii, fanno lo stesso, per fare un es. camicia hawaiana (oppure camicia aloha) è diventata un kigo estivo; ma questa particolarità, merita menzione in un altro paragrafo.

Conclusione

Per il momento ci fermiamo qui, nel prossimo appuntamento illustrerò nel dettaglio altri aspetti del kigo.

Sisto Samantha

Info credits:

https://cuccagna575.wordpress.com/2017/06/15/kigo-che-cose/;

https://en.m.wikipedia.org/wiki/Kigo;

https://www.facebook.com/groups/123566157685961;

Libro di Luca Cenisi La Luna e il Cancello-saggio sullo Haiku

Photo credit:

https://dream.ai/create (basate sul testo scritto)

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