Le Miko (巫女) sono giovani donne che svolgono particolari compiti presso i templi shintoisti. In sostanza rappresentano un valido aiuto per i sacerdoti svolgendo varie mansioni come le pulizie all’interno del tempio, le varie attività di supporto come la vendita di portafortuna ai turisti ma arrivando anche ad eseguire le danze cerimoniali incluse quelle sacre per allontanare le entità maligne e l’assistenza alle funzioni.
La storia delle Miko affonda le sue radici nell’antico Giappone, nelle ere in cui il termine Miko era attribuito alle donne sciamano che, entrando in trance, davano voce ai Kami (le divinità), come accadeva nell’antichità greca e romana con gli oracoli (ad esempio la Sibilla o la Pythia di Delfi). Inoltre, in passato, dovevano essere vergini ed in un cerio modo potevano essere anche paragonate alle vestali romane. Con il passare dei secoli quest’obbligo è venuto meno ed oggi, di fatto, le Miko sono volontarie o anche lavoratrici part-time e, contrariamente al passato, nel caso dovessero decidere di sposarsi, non sono tenute a lasciare il ruolo di Miko come invece accadeva in passato.
Grazie a loro questa bellissima tradizione continua e sono tra le figure più amate dello Shintoismo e della cultura nipponica.
Tra i loro compiti tradizionali vi è anche l’assistenza alle funzioni religiose, l’offerta alle persone degli Omikuji (御御籤, 御神籤 o おみくじ, o mikuji みくじ, si tratta di biglietti contenenti una predizione divina, un oracolo scritto che si estrae presso i templi shintoisti (Jinja) e buddhisti in Giappone in occasione di particolari festività per conoscere la propria sorte in relazione a vita, salute, lavoro, amore…
I loro strumenti tradizionali includono:
– Lo Azusa Yumi (梓 弓),un arco sacro (yumi) usato in alcuni rituali shintoisti in Giappone e realizzato in legno di Azusa giapponese (梓) o betulla giapponese (Betula grossa).
– Il Tamagushi (玉 串, letteralmente “spiedino di gioielli”) è una forma di offerta shintoista fatta da un ramo di un albero di sakaki decorato con strisce shide di carta washi, seta o cotone. Ai matrimoni giapponesi, ai funerali, e ad altre cerimonie nei santuari shintoisti, i tamagushi vengono presentati ritualmente ai Kami da fedeli o sacerdoti Kannushi (神主, “maestro del dio”, originariamente pronunciato Kamunushi), chiamati anche Shinshoku (神 職, che significa “impiegato di dio”), responsabili della manutenzione di un santuario shintoista (神社, jinja) e della principale adorazione di un determinato Kami.
– Il Gehōbako (外 法 箱 la “scatola soprannaturale che contiene bambole, teschi di animali e umani ed anche le perle di preghiera shintoista”).
Durante le cerimonie religiose, le Miko utilizzano anche campane, tamburi, candele e ciotole di riso.
Il loro abito tradizionale consiste generalmente in una Hakama rossa, o scarlatta o vermiglia (Hakama 緋袴,indumento tradizionale giapponese che somiglia ad una larga gonna-pantalone o una gonna a pieghe), di un Kosode bianco (Kosode 小袖, un indumento tradizionale giapponese, costituito da una veste dalle linee essenziali, sia maschile che femminile. Viene indossato sia come sottoveste sia come sopravveste e si associa in genere al termine molto più ampio di Kimono. Le Miko, inoltre, indossano nastri per capelli color bianco o rosso e i tradizionali calzari Tabi (足袋, calzini tradizionali di cotone giapponesi che arrivano all’altezza della caviglia e che separano l’alluce dalle altre dita del piede). Ricordiamo che nello Shintoismo, il colore bianco simboleggia la purezza.
Quando viene eseguito il Kagura (神楽, “musica degli o per gli dei”, danza sacra giapponese di forte componente sciamanica eseguita quando si fa un’offerta a un kami (神, ‘dio’) con lo scopo di ottenerne il favore in vari campi come salute, raccolti abbondanti, longevità, fertilità, ecc.), il capo d’abbigliamento indossato sopra il Kosode durante le danze è chiamato Chihaya (千 早).
Occasionalmente alcuni luoghi di culto, come il Santuario di Tsurugaoka Hachiman a Kamakura, vestono le loro Miko in altri colori.