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Ripropongo, dietro varie richieste, il resoconto di come la Serenissima Repubblica di Venezia ebbe modo di instaurare un rapporto di profonda amicizia, sviluppatosi nei secoli, e che tuttora perdura, con il Giappone. Si tratta di una parte del racconto della cosiddetta Ambasciata Tenshō (天正遣欧少年使節Tenshō ken’Ō shōnen shisetsu, ovvero “Missione in Europa dei ragazzi dell’era Tenshō”) che ebbe luogo nel XVI Secolo.

Tratterò in seguito l’argomento relativo a tutto il viaggio sul quale sto effettuando ricerche più approfondite basate sui diari tenuti dai giovani quattro ambasciatori nipponici e raccolti da Padre Alessandro Valignano (Chieti, 15 febbraio 1539 – Macao, 20 gennaio 1606), colui che volle e organizzò questa ambasciata.

Quanto leggerete è ciò che invece venne trascritto in alcuni documenti dell’epoca durante la visita della storica ambasciata, ovvero nel 1585, custoditi presso l’archivio dei Frari a Venezia (ora Archivio di Stato) e mostrati, nel 1873, ad una più recente missione diplomatica nipponica in Italia.

Quindi iniziamo la prima parte di questo viaggio nel tempo dall’anno 1873 quando tali memorie storiche sono ritornate alla luce dopo secoli, così come ci viene raccontato da un attento cronista dell’epoca, Guglielmo Berchet, nel periodico “L’Archivio Veneto”.

Nota: alcuni termini sono ovviamente desueti ed arcaici trattandosi di una cronaca del XIX Secolo.

“Nel mese di maggio 1873, fu di passaggio in Venezia la grande Ambasciata giapponese, inviata presso i governi d’America e di Europa da S. M. il Mikado (Imperatore), Mutsuhito, allo scopo di stringere nuove relazioni e di rivedere i trattati, già in corso fino da quando il commodoro Perry, colla squadra americana, otteneva dallo Shogun di rendere accessibili agli stranieri alcuni porti del Giappone, dopo oltre due secoli, dacchè quel misterioso impero erasi completamente isolato.

Quattro ambasciatori componevano la missione cioè: S.E. Iwakura, Udaijin, ministro e membro del Consiglio Supremo del Mikado; i ministri Kido. Ito e Yamaguchi e un numeroso personale di segretari, ufficiali ed interpreti. Erano accompagnati dal Console pel Giappone in San Francisco (California) e, per tutto il viaggio in Italia, dal Conte A. Fè d’Ostiani, nostro ministro plenipotenziario al Giappone e da un ufficiale di Marina, il Sig. Carini, messo da Ministero a disposizione dell’Ambasciata.  In Venezia, fecero gli onori dell’ospitalità ai Giapponesi il loro console generale cav. Nakayama, e, per delegazione avuta dal R. Prefetto e dal Sindaco, chi scrive questa Memoria. Gli ambasciatori arrivarono il 27 maggio, alle ore 5 pom., e furono ossequiati alla stazione della ferrovia, a nome del Governo e del Municipio; poi sopra sei gondole ornate colla bandiera giapponese, il sole rosso in campo bianco, ed altre gondole che facevano seguito, recaronsi lungo il Canal Grande al Grand-Hotel, ove presero alloggio. Iwakura si trattenne parecchi giorni a Venezia, Kido partì subito pel Giappone, e Ito andò a Milano. Prima di procedere oltre, presenterò al cortese lettore di questa memoria quelle illustri persone che ebbero grandissima parte nel movimento politico del Giappone. Iwakura Tomomi è uno degli uomini più considerevoli del governo giapponese. Egli appartiene alla classe dei Kugee, la più alta ed antica nobiltà della Corte. Fino alla rivoluzione del 1868, che rovesciò ed abolì lo Shogunato, visse sempre presso il Mikado nell’antica capitale di Kyoto; ma da quell’epoca prese parte grandissima alle cose di Stato, e devesi particolarmente al suo grande ingegno ed alla sua potente influenza il progresso del Giappone nella via della civiltà. Succedette a Sawa, nella direzione suprema del ministero degli esteri, e la lasciò a Sanjo, uno dei più illustri uomini di Stato giapponesi, quando partì coll’Ambasciata. È un uomo che poteva avere, nel 1873, cinquanta anni; è molto istruito, sebbene non parli che la sua lingua; ma quando discorre, la vivacità dei suoi occhi e una certa impronta di argutezza che si scorge nelle sue   labbra, lo dinotano di ingegno superiore, come i suoi modi sono quelli di un uomo di alta società, semplici, eleganti e corretti. Lo scopo della sua politica fu quello di ristabilire il potere del Mikado, togliendo di mezzo la luogotenenza ereditaria degli Shogun, che avea reso il Mikado un sovrano soltanto di nome; mentre ogni potere veniva esercitato dal Shogun nelle varie provincie del Giappone, rette dai daimyo col sistema feudale, che Iwakura riuscì ad abolire, col patriottico concorso principalmente dei tre possenti daimyo di Satsuma e di Tosa e di Chioshu (Kyushu?). Ristabilendo il potere imperiale del Mikado, Iwakura si propose di introdurre le più vaste riforme liberali nel l’impero, e di mantenere ed accrescere le buone relazioni del Giappone coll’estero. Tenne la sua promessa; ed ora, che copre una delle più alte cariche dello Stato, continua con coraggio ed energia la sua missione, malgrado le enormi difficoltà che incontra in tanti interessi lesi e in tante costumanze mutate. Quando egli viaggiò coll’Ambasciata nell’America, vestiva il costume giapponese, e così è ritratto in una fotografia posta in fronte alla Relazione di quel viaggio; ma in Europa si abbigliò all’europea, e prese subito l’aspetto di uno dei nostri diplomatici.

Kido, fu, per importanza, il secondo personaggio dell’Ambasciata. Egli è stato uno dei principali promotori della rivoluzione del 1868, che rovesciò lo Shogunato. Sebbene semplice samurai riuscì a persuadere il daimyo di Chioshu di unirsi al Mikado, e fu l’autore della celebre Petizione, colla quale i daimyo domandarono la loro mediatizzazione. Quando ritornò in patria, scrisse una relazione di questa Ambasciata, che è ammirabile pei giudizi acuti e veri che contiene intorno alle condizioni dell’Europa e dell’America, e per gli insegnamenti che ne deduce, a vantaggio del proprio paese. Ora egli è uno dei tre membri del Consiglio privato supremo dell’imperatore, Ito, è attualmente ministro dei lavori pubblici. Di ingegno pronto e vivace, e di grande coltura, è uno dei più ardenti promotori delle idee di progresso, che sono all’ordine del giorno, nella politica attuale del governo giapponese. Yamaguchi, finalmente, era un alto funzionario del Ministero degli affari esteri, ed ora è senatore. Il cav. Nakayama, che allora trovavasi Console generale pel Giappone in Venezia, fu direttore della Dogana di Yokohama, prima di venire a Venezia. Quì tenne il consolato generale per circa un anno, poi ne trasportò la sede a Milano per un altro anno, quindi ritornò al Giappone, dove ora è ufficiale di grado superiore e gentiluomo di Corte. Segretari dell’Ambasciata erano i signori Tanabe, Kurimoto, Ando, Ichikawa, Kawagi e Tanaka. Io ebbi dunque l’onore di accompagnare S. E. Iwakura ed il suo seguito, nella visita ai monumenti ed ai principali stabilimenti di Venezia. Ciò che abbiamo veduto, e quali impressioni ne abbiano avuto gli ambasciatori giapponesi, sebbene tutte favorevoli per Venezia, ed altrettanto onorevoli pel suo passato quanto lusinghiere pel suo avvenire, non è qui il luogo di dire; nè io mi propongo di scrivere la storia di questa Ambasciata.

Solamente dirò, per entrare nel mio tema, e per offrire la genesi di questa Memoria, che allorquando siamo stati a visitare l’Archivio dei Frari, quel celebre emporio dove si conservano tanti e così preziosi documenti della storia di tutto il mondo, gli ambasciatori giapponesi vi trovarono la gradita   sorpresa di alcuni documenti, dettati e sottoscritti da altri ambasciatori venuti dal Giappone in Venezia, tre secoli prima, e precisamente nel 1585. La sorpresa riuscì loro maggiormente gradita, in quanto che sebbene le patrie istorie e tradizioni facessero loro sovvenire il nome del capo di quella missione ed il motivo di essa, non aveano mai avuta occasione di averne sott’occhio gli autentici documenti.”

Prossimamente la seconda parte di questa fantastica avventura.

-Antonio Vaianella-

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