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Eccoci giunti al sesto appuntamento con la rubrica e terzo con il Nohgaku, dove analizzeremo in dettaglio la parte più “scenica” dell’esibizione.

Maschere

Anche il Nohgaku, come il Bugaku, ha le sue maschere, più numerose (circa 450) tutte diverse ma basate principalmente su 60 tipi e tutte con nomi distintivi.
Anche queste sono scolpite in blocchi di cipresso giapponese (檜 “hinoki”) e dipinte con pigmenti naturali su una base neutra di colla e conchiglia sgretolata, non tutti gli interpreti le indossano, ma solo lo shite e lo tsure per rappresentare personaggi femminili, la particolarità di queste maschere è che non sono solo distintive del personaggio, ma in base ad una leggera inclinazione possono raffigurare emozioni diametralmente opposte.

Alcune maschere sono così “rappresentative” che vengono utilizzate frequentemente in molti spettacoli diversi, mentre alcune sono molto specifiche e possono essere utilizzate solo in uno o due esibizioni; queste maschere indicano il sesso, l’età e la posizione sociale dei personaggi, possono ritrarre giovani, anziani, donne o personaggi inumani (divini, demoniaci o animali).
Secondo un’antica leggenda, riportata da Zeami nello Fūshikaden (風姿花伝, “La trasmissione del fiore attraverso (una padronanza) delle forme, più vagamente “Lo stile e il fiore”), noto colloquialmente come Kadensho (花伝書, “Il libro della trasmissione del fiore”), suo trattato e saggio riguardante il Noh, redatto nel XIV sec, la maschera più antica fu scolpita dal leggendario principe reggente Shōtoku (572-622).

Per immagini di maschere (link Maschere Teatro Noh (giapponeserie.com)

Palcoscenico

Elemento inconfondibile del Nohgaku è il suo palcoscenico (Butai) che permette una sorta di “interazione” tra interpreti e pubblico, infatti gode di un’apertura completa che fornisce un’esperienza condivisa; inoltre senza alcun proscenio o sipario ad ostacolare la vista, il pubblico vede ogni interprete anche durante i momenti prima che entri (e dopo che esca) dal “palco” centrale (Honbutai “palco principale”) attraverso il caratteristico corridoio dell’Hashigakari, ovvero uno stretto ponte a destra del palco; il suo significato è “ponte sospeso”, cioè qualcosa di aereo che collega due mondi separati su uno stesso livello e simboleggia quindi la natura mitica di alcune rappresentazioni in cui appaiono fantasmi e spiriti ultraterreni.
Un’altra caratteristica riconoscibilissima del palcoscenico è il suo tetto indipendente che pende sopra persino nei teatri al chiuso: sostenuto da quattro colonne, il tetto ne simboleggia la santità; con il suo design architettonico derivato dai santuari shintoisti, ha la funzione di unificare lo spazio del teatro e definirlo come entità.
Così come tetto, palco e ponte, anche i pilastri hanno “compiti” specifici: c’è lo Shitebashira (pilastro dello shite), lo Metsukebashira (pilastro dello sguardo), lo Wakibashira (pilastro del waki) e infine lo Fuebashira (pilastro del flauto), rispettivamente disposti in senso orario da sopra il palco a destra, come si intuisce dal nome ognuno è associato agli interpreti e alle loro azioni.
Interessante dal punto di vista “ecologico” è anche il materiale, ogni elemento è infatti composto dallo stesso legno impiegato per le maschere, semplicemente non rifinito, con quasi nessun decoro (salvo il pannello di sfondo, Kagami-ita, con un dipinto di un pino verde minimalista).
Molti di questi elementi distintivi, a dimostrazione di quanto la tradizione sia importante e continuamente ripresa nel Giappone moderno, si veda lo sfondo di scenografia del video di 革命開花 (Revolutionary Blooming) di una nota visual-kei band, gli アリス九號 (Alice Nine), (link https://youtu.be/qz4ndtwVF5c).

Costumi

I costumi di scena, chiamati “Shozoku” sono di seta e vengono indossati insieme a parrucche, cappelli e oggetti di scena come il ventaglio, hanno colori sorprendenti, trame elaborate e ricami intricati, sono veramente opere d’arte a sé stanti.
In particolare quelli per lo shite sono stravaganti, broccati di seta scintillante, progressivamente meno sontuosi per gli altri interpreti.
Musicisti e coro indossano il tipico kimono “Montsuki” formale (nero e ornato con i 5 stemmi familiari) accompagnato da “Hakama” (un indumento simile a una gonna) o da “kami-shimo”, cioè una combinazione di hakama e gilet con spalle esagerate.
Infine, per ultimi, gli assistenti di scena sono vestiti con abiti neri praticamente disadorni.

Oggetti di scena

Come gli elementi decorativi del palcoscenico sono ridotti all’essenziale, così lo sono anche gli oggetti di scena: il più comunemente usato è il ventaglio, portato da tutti gli interpreti indipendentemente dal ruolo e generalmente conservato in mano o infilato nell’obi.
Entra in scena principalmente durante le sequenze di danza dove è tipicamente usato per sostituire qualsiasi oggetto come ad esempio una spada, un flauto o un pennello per scrivere e può rappresentare vari oggetti nel corso di un singolo spettacolo.
Le rare volte che vengono usati oggetti diversi dai ventagli, essi sono introdotti o recuperati dai “Kuroko” (gli invisibili): una sorta di inservienti il cui costume completamente nero indica che non fanno parte dell’azione sul palco.
Altri oggetti di scena diversi normalmente sono contorni per suggerire oggetti reali, eccezion fatta per la grande campana, il cui scopo è consentire il cambio di costume durante l’interludio Kyōgen.

Musica

La musica del Nohgaku, come quella del Gagaku, per essere apprezzata richiede più di un ascolto superficiale: al primo ascolto può sembrare uno dei suoni più sconcertanti dell’Asia orientale, ma uno studio attento dei suoi principi rivela che è ragionevole e bella, spesso paragonata ad una cantata di Bach.
L’accompagnamento musicale si divide in due elementi:
⦁ Il coro strumentale (Hayashi 囃子 o Hayashi-kata) formato da 4 strumenti che sono un flauto (Fue) di bambù, specificatamente chiamato nohkan (笛), il tamburo a mano ko-tsuzumi (小鼓,こつづみ), il tamburo a mano ōtsuzumi (大鼓, おおつづみ) e il grande tamburo taiko (太鼓, たいこ) o shime-daiko (締め太鼓);
⦁ Il coro vocale (Jiutai 地謡) composto da 8-10 cantanti.

Caratteristica di questa musica che accompagna le danze Shumai, è avere spazi vuoti (Ma) considerati il cuore della musica che ne rallentano molto il ritmo, ma allo stesso tempo la rendono affascinante.
Altra caratteristica, stavolta vocale è il kakegoe (lo strano suono gutturale delle voci dei percussionisti) ereditato dai rituali sciamanici.
Come per gli elementi che formano il palcoscenico anche gli strumenti hanno dei “compiti”: i tamburi servono per indurre la trance, il flauto è uno strumento per evocare la discesa degli spiriti, e i kakegoe sono parte dell’invito agli dei a manifestarsi.
Sommariamente, a mio giudizio, a differenza del Gagaku, dove comunque ritroviamo gli strumenti, musica e voce si combinano da subito, si sente più spesso il crescendo da entrambe le parti, anzi qui la voce del coro è davvero usata come se fosse uno strumento, persino rimbomba come un eco.
La prima impressione sembra di disarmonia, in realtà è perfettamente ritmica ed ha il “fascino” dell’antico.

Al link sottostante potete ascoltare dei brani

In ordine i brani contenuti sono:
⦁ 1 Deha
⦁ 2 Nakairiraigyo
⦁ 3 Jonomai
⦁ 4 Otokomai
⦁ 5 Sagariha
⦁ 6 Kammai
⦁ 7 Gaku
⦁ 8 Kagura
⦁ 9 Hagoromo 羽衣 Il mantello delle piume

Etichetta del pubblico

Ultimo ma non meno importante elemento di distinzione del Noh è la regola non scritta, ma morale, del galateo.
Generalmente simile a quello del teatro occidentale formale, non sono usati sottotitoli, ma viene fornito il libretto; poiché non ci sono sipari, la performance inizia con l’entrata in scena degli interpreti e finisce con la loro uscita; le luci della sala sono solitamente tenute accese, creando un’atmosfera intima che fornisce l’esperienza condivisa tra gli interpreti e il pubblico.
Alla fine dello spettacolo, gli “attori” escono lentamente in ordine di importanza e mentre sono sull’hashigakari il pubblico li applaude con moderazione, uno alla volta; a differenza del teatro occidentale, non c’è un inchino e neanche un ritorno sul palcoscenico degli “attori”.
Durante l’intervallo tè, caffè e wagashi (dolci) possono essere serviti nella hall; una piccola curiosità storica vuole che nel periodo Edo, quando le esibizioni teatrali duravano tutto il giorno, venissero serviti makunouchi’ bentō (幕の内弁当 “tra gli atti”) più sostanziosi, mentre in occasioni speciali, ancora oggi, quando lo spettacolo è finito, un sake cerimoniale (お神酒 “o-miki” ) può essere servito nell’atrio all’uscita, come accade nei riti shintoisti.
La disposizione del pubblico segue la particolarità del palco, infatti il pubblico è seduto di fronte al palco e interamente sul lato sinistro, mentre il metsukebashira ostruisce la vista del palcoscenico, gli interpreti sono principalmente agli angoli, non al centro, quindi i due corridoi sono situati dove la vista di shite e tsure sarebbe oscurata, di modo che è garantita una visione chiara indipendentemente dai posti.

Considerazioni personali

Come detto nel precedente articolo, non sono un’esperta musicale, ciò significa che quello che penso e scrivo può essere “discusso” da chi ne sa più di me.
A mio avviso questa “genere” di musica è più “dolce” (anche se le note del nohkan sono alte, rispetto a quelle dell’hichiriki sono armoniose) e soprattutto essendo l’esecuzione breve permette al nostro orecchio occidentale di abituarcisi meglio rispetto al Gagaku.
L’aspetto “cerimonioso” lo si denota nella danza, come la precedente la raccomando per un ulteriore immersione nell’affascinante cultura giapponese.

Sisto Samantha

Fonti
Per contenuti
⦁ Japanese music ⦁ Japanese music (slideshare.net)
⦁ Music of Japan ⦁ Music of japan (slideshare.net)
Nō – Wikipedia
Noh – Wikipedia
Nōgaku – Wikipedia
About Nohgaku | THE NOHGAKU PERFORMERS’ ASSOCIATION⦁ ⦁ (in giapponese, raccomando di munirvi di traduttore)
Noh theatre | Japanese drama | Britannica⦁ ⦁ (in inglese, seguite il link che rimanda anche alla musica del Noh)
Per immagini

Maschere giapponesi

About Nohgaku | THE NOHGAKU PERFORMERS’ ASSOCIATION

 

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