
L’Imperatrice Jingū: tra mito, potere e leggenda
Jingū Kōgō (神功皇后), nota anche con il nome di Okinaga Tarashi-hime, è una figura semileggendaria della storia giapponese, tradizionalmente collocata tra il II e il III secolo d.C. Fu consorte dell’Imperatore Chūai e, alla sua morte, assunse il ruolo di reggente fino all’ascesa al trono del figlio, il futuro Imperatore Ōjin. Sebbene la sua esistenza storica sia oggetto di dibattito tra studiosi moderni, il suo impatto culturale, religioso e simbolico nel Giappone antico e moderno è indiscutibile.
Origini e ascesa al potere
Jingū sarebbe nata nel 169 d.C., figlia di Okinaga no Sukune e della principessa Katsuragi no Takanuka. Secondo alcune leggende, vantava una discendenza illustre che includeva anche il mitico principe coreano Amenohiboko, una figura legata alla trasmissione di tecnologie e cultura dalla penisola coreana al Giappone. Questa genealogia mitica aveva probabilmente lo scopo di consolidare la legittimità regale e i legami con il continente asiatico.
Dopo la morte dell’imperatore Chūai, Jingū avrebbe assunto la reggenza sotto l’influenza delle divinità marine Sumiyoshi Sanjin, le quali le avrebbero ordinato di non combattere i ribelli locali del Kyūshū ma di volgere lo sguardo a ovest, verso la penisola coreana. Le fu profetizzata una vittoria senza spargimento di sangue, ottenuta per intervento divino.
La leggendaria invasione di Silla
L’episodio più celebre della vita di Jingū è la presunta spedizione militare in Corea, contro il regno di Silla (uno dei Tre Regni della Corea antica). Le cronache del Kojiki e del Nihon Shoki raccontano che Jingū guidò personalmente un’armata oltre il mare, un fatto straordinario per l’epoca, ancor più se attribuito a una donna.
La vittoria fu ottenuta, secondo la leggenda, senza alcun combattimento: Jingū possedeva due gemme magiche, il kanju e il manju, capaci di controllare le maree. Questi oggetti avrebbero permesso alla flotta giapponese di provocare un’alta marea improvvisa che inondò le coste di Silla, costringendo i coreani alla resa.
Curiosità: Non esistono fonti coreane o cinesi coeve che confermino questa invasione. Gli storici moderni, anche giapponesi, considerano l’episodio un’elaborazione mitologica, forse creata in epoca successiva per legittimare le pretese giapponesi sulla penisola coreana.
La nascita miracolosa di Ōjin
Secondo la leggenda, Jingū sarebbe stata incinta al momento della spedizione e avrebbe miracolosamente ritardato il parto per tre anni, mantenendo il figlio nel grembo grazie a una pietra sacra tenuta sotto il kimono. Solo al ritorno dalla campagna vittoriosa, Jingū avrebbe dato alla luce il futuro imperatore Ōjin, poi divinizzato come Hachiman, il dio della guerra, adorato in tutto il Giappone come protettore dei samurai.
Aneddoto: Il motivo della “gravidanza prolungata” è presente in molte mitologie antiche. Esso simboleggia spesso una nascita straordinaria, preannunciata e legata al divino. In Cina, ad esempio, si narra che il leggendario Imperatore Yao sia nato dopo cento anni di gestazione.
Morte e culto
Le fonti tradizionali affermano che Jingū morì nel 269 d.C., all’età leggendaria di 100 anni. Secondo la tradizione, la sua tomba si trova presso il Saki no Tatanami no Ike no E no Misasagi, un imponente kofun a forma di buco di chiave situato a Nara, lungo circa 275 metri. Tuttavia, la datazione archeologica del sito (fine IV – inizio V secolo) rende incerta l’effettiva connessione con la figura storica di Jingū.
Nel corso dei secoli, la sua figura è stata divinizzata come kami protettrice della fertilità, della maternità, della guerra e dei viaggi sicuri. Durante il periodo Meiji, il suo culto venne riabilitato e promosso come parte della costruzione dell’identità nazionale.
Curiosità iconografica
L’Imperatrice Jingū fu la prima donna a comparire su una banconota giapponese (nel 1881) e su diversi francobolli dell’epoca Meiji. Il più famoso di questi, emesso nel 1874 da 6 sen, fu realizzato dall’incisore e artista italiano Edoardo Chiossone (1833–1898), che lavorò per lo Stato giapponese presso l’Officina della Zecca Imperiale di Tōkyō.
Per l’immagine, Chiossone si ispirò ai tratti della sua governante giapponese, usata come modella per raffigurare una Jingū idealizzata, con abiti cerimoniali e postura regale. Il ritratto, occidentalizzato nei tratti ma profondamente simbolico, divenne una delle prime rappresentazioni moderne di una figura mitica giapponese a uso pubblico, conferendo a Jingū un’aura classica e romantica conforme all’estetica Meiji.
Questi strumenti visivi contribuirono a costruire la percezione moderna di Jingū come madre della nazione e simbolo di virtù patriottica.
Tra storia e mito
La figura di Jingū rimane sfuggente per gli storici. Alcuni ricercatori ipotizzano che sia una trasfigurazione o evoluzione di Himiko, la celebre regina-sciamana del misterioso regno di Yamataikoku, menzionata nei documenti cinesi del III secolo, come il Wei Zhi. Entrambe sono descritte come donne dotate di poteri spirituali e politicamente influenti, ma non vi è consenso sulla loro identificazione.
Altri studiosi suggeriscono che Jingū sia una figura composita, frutto della fusione di diverse tradizioni orali riguardanti donne sciamane o reggenti del periodo Kofun, epoca ancora oggi in gran parte avvolta nell’ombra per la mancanza di fonti scritte coeve.
Eredità culturale
Oggi Jingū è celebrata come una delle rare figure femminili che abbiano avuto un ruolo attivo nella legittimazione del potere imperiale giapponese. È spesso associata alla figura della onna-bugeisha (女武芸者), la donna guerriera giapponese, controparte femminile del samurai. La sua storia continua a ispirare opere artistiche, narrative e performative, e il suo esempio di comando, spiritualità e resilienza rimane un simbolo importante per la cultura giapponese, soprattutto nel discorso moderno sul ruolo delle donne nella storia nazionale.
Glossario
• Kōgō (皇后): Imperatrice consorte.
• Kami (神): Divinità o spirito nel pantheon shintoista.
• Kofun (古墳): Antico tumulo funerario giapponese, tipico dei secoli III–VII.
• Nihon Shoki (日本書紀): “Cronache del Giappone”, testo storico compilato nel 720 d.C.
• Kojiki (古事記): “Registro delle cose antiche”, la più antica cronaca esistente del Giappone, compilata nel 712 d.C.
• Onna-bugeisha (女武芸者): Donna guerriera appartenente alla classe dei bushi o samurai.
• Sumiyoshi Sanjin (住吉三神): Trinità di divinità marine shintoiste.
• Hachiman (八幡神): Divinità sincretica dello shintoismo e del buddhismo giapponese, dio della guerra.
• Amenohiboko (天日槍): Principe leggendario proveniente dalla penisola coreana, venerato come kami.
• Manju / Kanju (満珠・干珠): Perle magiche della leggenda giapponese, usate per controllare le maree.
Bibliografia essenziale e commentata
• Aston, W. G. (1972). Nihongi: Chronicles of Japan from the Earliest Times to A.D. 697. Tuttle Publishing.
Traduzione integrale del Nihon Shoki, fondamentale per comprendere la narrativa mitico-storica imperiale.
• Philippi, Donald L. (1968). Kojiki. Princeton University Press.
Traduzione e analisi del Kojiki, che include le leggende su Jingū e altre figure arcaiche.
• Kidder, J. Edward (1993). Himiko and Japan’s Elusive Chiefdom of Yamatai: Archaeology, History, and Mythology. University of Hawai’i Press.
Utilissimo per analizzare il possibile legame tra Jingū e Himiko, esplorando il contesto archeologico del periodo Kofun.
• Piggott, Joan R. (1997). The Emergence of Japanese Kingship. Stanford University Press.
Studio accademico sul ruolo delle donne nella regalità giapponese arcaica.
• Edwards, Walter (1989). “Mirrors to Japanese History”. Ars Orientalis, Vol. 19.
Analisi critica sull’uso ideologico dei miti storici durante l’epoca Meiji.

