Yukio Mishima: vita, opere e ossessioni di un’anima in bilico
Introduzione
Yukio Mishima (三島 由紀夫), pseudonimo di Hiraoka Kimitake (平岡 公威), è una delle figure più enigmatiche e magnetiche del Novecento letterario. Romanziere, drammaturgo, saggista, attore, regista, bodybuilder, fondatore di una milizia privata, nazionalista e dandy cosmopolita: ogni etichetta, da sola, dice troppo poco.
La sua vita, dall’infanzia fragile al suicidio rituale del 25 novembre 1970, appare come un grande testo performativo, scritto insieme con inchiostro e sangue. Bellezza, disciplina, violenza, erotismo, tradizione e modernità si intrecciano in un’opera che non è solo letteraria ma esistenziale.
Questo articolo ricostruisce in modo rigoroso e narrativo la biografia di Mishima, approfondendo filosofia personale, stile di vita, attività poliedriche, opere principali (con una particolare attenzione ad almeno tre libri fondamentali), aneddoti e curiosità, citazioni e riflessioni. Una sezione specifica è dedicata al suo rapporto con l’Occidente e a quanto possiamo dire, con prudenza, del suo sguardo sull’Europa e sull’Italia.
Biografia: gli anni dell’incertezza e la nascita di uno scrittore
Infanzia, isolamento, formazione
Yukio Mishima nacque il 14 gennaio 1925 a Tōkyō (東京), nel quartiere di Yotsuya (四谷区). Il suo nome di nascita era Hiraoka Kimitake (平岡 公威).
Fu sottratto molto presto ai genitori dal carismatico e duro controllo della nonna paterna, Natsu (夏子), figura autoritaria, ipocondriaca e ossessivamente protettiva. L’infanzia trascorse quindi in un ambiente chiuso, dominato da una sensibilità aristocratica e da racconti del vecchio Giappone feudale. Questo isolamento precoce, segnato anche da una salute fragile e dall’assenza quasi totale di giochi con i coetanei, alimentò in lui un senso di estraneità e una precoce interiorizzazione della violenza, della malattia e della morte.
A sei anni fu iscritto alla Gakushūin (学習院), la “Peers School” di Tōkyō, tradizionalmente frequentata dall’élite e dai membri della famiglia imperiale. Là il giovane Kimitake, timido e studioso, sperimentò il divario tra l’immagine imposta dalla famiglia — raffinata, aristocratica — e il proprio senso di inadeguatezza fisica e sociale. In questi anni si accostò alla letteratura giapponese classica e alla poesia waka (和歌), ma anche alla narrativa europea moderna, iniziando a costruirsi un pantheon personale in cui convivevano tradizione nipponica e modelli occidentali.
Guerra e vocazione letteraria
Durante la seconda guerra mondiale, Mishima non partecipò al fronte armato. Venne arruolato per il servizio militare, ma un episodio è rimasto emblematico: convocato per un possibile impiego come pilota kamikaze, arrivò all’esame medico con febbre e sintomi influenzali; il medico sospettò una tubercolosi e lo dichiarò non idoneo. Fu così destinato al lavoro in una fabbrica di aeroplani a Tōkyō.
Quell’“occasione mancata” di morte eroica lo segnò profondamente: negli scritti successivi, l’idea del sacrificio volontario, del corpo offerto alla patria, e insieme il rimorso di non aver condiviso il destino dei coetanei al fronte ritorna come un motivo sotterraneo.
Terminata la guerra, Mishima si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Imperiale di Tōkyō (東京帝国大学, oggi 東京大学) e si laureò in diritto. Per breve tempo lavorò come funzionario al Ministero delle Finanze, ma la carriera amministrativa non lo attirava: di notte, invece, continuava febbrilmente a scrivere.
Già durante gli anni di scuola aveva pubblicato racconti e prose brevi; le composizioni giovanili raccolte poi sotto il titolo La foresta in fiore (La foresta in fiore è la traduzione italiana di una raccolta di racconti del periodo 1941-1943) mostrano un talento precoce e un forte interesse per il mondo degli dèi, degli antenati, delle tradizioni e per un’introspezione psicologica inusuale per l’età.
L’esplosione del talento: Confessioni di una maschera
La sua vera consacrazione avvenne nel 1949 con il romanzo Confessioni di una maschera (『仮面の告白』, Kamen no kokuhaku), che Mishima stesso considerava in parte autobiografico. Pubblicato quando aveva ventiquattro anni, lo impose come voce nuova della letteratura giapponese del dopoguerra: un autore capace di parlare di desiderio, vergogna, identità sessuale e maschere sociali con una franchezza e una finezza introspettiva senza precedenti nel panorama nipponico dell’epoca.
Da quel momento Mishima scelse di dedicarsi completamente alla letteratura. Lasciò l’impiego ministeriale e divenne uno scrittore di successo e di straordinaria produttività: nel corso di poco più di vent’anni avrebbe firmato decine di romanzi, racconti, drammi teatrali, saggi, sceneggiature cinematografiche e un corpus imponente di articoli e interventi critici.
Vita privata, viaggi, celebrità
Nel 1958 sposò Sugiyama Yōko (杉山 葉子), figlia di un pittore; dal matrimonio nacquero due figli, Noriko (紀子) e Iichirō (威一郎). Ufficialmente conduceva una vita familiare conforme alle aspettative sociali, ma la sua esperienza interiore, la complessità dei suoi desideri e il conflitto tra ruolo sociale e identità profonda emergono con potenza nei testi, lasciando intuire dissociazioni e segreti che le fonti biografiche trattano con prudenza.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, Mishima viaggiò all’estero, frequentò ambienti culturali europei e americani, si fece fotografare, intervistare, filmare. Era ormai una “public figure”: lo scrittore che posa per riviste, recita al cinema, dirige e interpreta lui stesso film come Patriottismo (『憂国』, Yūkoku, 1966), mediometraggio che mette in scena un suicidio rituale di un ufficiale e della moglie — anticipazione inquietante del proprio destino.
La Tatenokai (楯の会) e il 25 novembre 1970
A partire dai primi anni Sessanta, Mishima radicalizzò la propria posizione politica. Fondò la Tatenokai (楯の会, “Società dello Scudo”), una milizia privata formata da giovani studenti, che si addestrava militarmente sotto il patrocinio delle Forze di Autodifesa giapponesi. L’obiettivo dichiarato era difendere l’Imperatore e lo “spirito originario” del Giappone contro il materialismo e il pacifismo della nuova Costituzione.
Il 25 novembre 1970 Mishima e quattro membri della Tatenokai si recarono al quartier generale dell’Agenzia di Difesa a Ichigaya (市ヶ谷) a Tōkyō: presero in ostaggio un generale, si barricarono nel suo ufficio e Mishima pronunciò un discorso dal balcone rivolto ai soldati, esortandoli a insorgere per restaurare i poteri imperiali. Il discorso fu accolto da ostilità e scherno; capito il fallimento del gesto, Mishima rientrò nell’ufficio e compì il seppuku (切腹), seguito dalla decapitazione rituale da parte di un suo allievo.
La sua morte — teatralmente preparata, anticipata da segnali letterari e iconografici — chiuse una parabola biografica vissuta in costante tensione tra parola e azione, tra estetica e politica, tra vita e rappresentazione.
Filosofia, stile di vita e contraddizioni
Bellezza, eros, morte
Al centro della visione di Mishima sta un’idea radicale di bellezza. Non è un valore pacifico, consolatorio; è una forza aggressiva, pericolosa, che “attacca, soggioga, deruba e infine distrugge” — per usare una sua celebre formula.
Nei romanzi, nei saggi e nei racconti, la bellezza appare spesso legata alla giovinezza del corpo, alla purezza di un gesto assoluto, al momento immediatamente precedente al declino. La vita stessa sembra degna di essere vissuta solo se può essere portata a un culmine estetico, quasi teatrale, prima che l’usura del tempo la corrompa.
Da qui deriva l’ossessione per la morte volontaria, intesa non solo come gesto politico, ma come risoluzione estetica di una tensione irrisolvibile. Diversi commentatori hanno sottolineato come, per Mishima, la morte in battaglia o il suicidio rituale non siano meri atti di disperazione, bensì la possibilità di trasformare l’esistenza in un’opera compiuta, come una poesia “scritta con uno spruzzo di sangue”.
L’erotismo, in questa visione, non è separato dalla violenza. Nei suoi testi la sensualità del corpo è spesso associata alla ferita, al sangue, alla vulnerabilità estrema: basti pensare alla centralità dell’immagine di San Sebastiano martire in Confessioni di una maschera, oppure alle scene di sacrificio, mutilazione e autoannientamento disseminate nelle opere successive.
Corpo e scrittura: Sun and Steel (『太陽と鉄』)
Il saggio Sun and Steel (『太陽と鉄』, Taiyō to tetsu), pubblicato alla fine degli anni Sessanta, è la chiave per comprendere la metamorfosi di Mishima da giovane intellettuale esile e malaticcio a icona iper-virile. In questo testo autobiografico, lo scrittore riflette su come il corpo — tramite il sole, la fatica, il ferro degli attrezzi da palestra e delle armi — possa diventare un secondo linguaggio, parallelo e in qualche modo antagonista alla parola scritta.
Mishima racconta di aver vissuto a lungo in una sorta di prigione verbale: da ragazzo, la sua esistenza era fatta di libri, astrazione, immaginazione. Solo grazie al bodybuilding e alle arti marziali avrebbe scoperto una “grammatica dei muscoli”, una concretezza fisica capace di correggere l’eccesso di cerebralità. Non è un caso che, negli ultimi anni di vita, seguisse una disciplina ferrea di allenamento, con un’attenzione quasi maniacale alla forma del corpo, fotografato e messo in scena come un’opera d’arte.
In questa prospettiva, corpo e testo non sono separati: il primo diventa il supporto, il “santuario” su cui si incide la volontà, e la morte stessa è concepita come l’ultimo atto performativo di questo progetto estetico-fisico.
Tradizione, nazionalismo, religione
Sul piano politico e spirituale, Mishima cercò di coniugare l’amore per la cultura occidentale con una difesa estrema della tradizione giapponese. Ammirava autori europei, frequentava ambienti cosmopoliti e poteva apparire, agli occhi di molti ospiti, come un intellettuale “europeizzato”; ma interiormente si concepiva come un moderno samurai, legato allo Shintō (神道) e al mito dell’Imperatore come figura sacrale.
Nella sua lettura del codice samuraico, la morte volontaria è l’espressione più alta di fedeltà e integrità. Una sua frase riassume questa logica: “Se attribuiamo un valore così alto alla dignità della vita, come potremmo non attribuirne uno altrettanto alto alla dignità della morte?”.
La fondazione della Tatenokai va collocata dentro questa visione: non solo un gesto politico, ma la creazione di una “compagnia teatrale armata”, in cui parola, gesto, uniforme e rito confluiscono in un unico progetto di rinascita spirituale del Giappone, rivolto contro il consumismo e il pacifismo che percepiva come una degradazione dell’anima nazionale.
Tre opere centrali
Confessioni di una maschera (『仮面の告白』, 1949)
Confessioni di una maschera è la storia di Kochan (コウチャン), alter ego trasparente dell’autore. Il romanzo segue il protagonista dall’infanzia alla prima giovinezza mentre scopre, con crescente angoscia, di essere diverso dagli altri: fisicamente fragile, interiormente ossessionato dalla morte e, soprattutto, attratto eroticamente da corpi maschili, in un contesto sociale in cui ciò non è dicibile.
Per sopravvivere, Kochan costruisce una “maschera”: una personalità pubblica rispettabile, un interesse simulato per le donne, un conformismo di superficie. Il romanzo è il racconto di questa finzione e della progressiva corrosione che essa esercita sull’identità. La voce narrante è lucidissima e crudele verso se stessa, capace di smontare con precisione chirurgica autoinganni, fobie, fantasie di violenza e di sacrificio.
Sul piano stilistico, Mishima combina introspezione psicologica di matrice europea, elementi dell’estetica tradizionale giapponese e un lessico ricco, talvolta barocco. Confessioni inaugura quella dialettica tra erotismo, colpa e desiderio di annientamento che attraverserà gran parte della sua produzione.
Il padiglione d’oro (『金閣寺』, Kinkaku-ji, 1956)
Il padiglione d’oro parte da un fatto di cronaca: nel 1950 un giovane monaco incendiò il celebre Kinkaku-ji (金閣寺), il tempio del Padiglione d’oro di Kyōto (京都). Mishima trasforma l’episodio in un romanzo di formazione rovesciato, narrato in prima persona dal giovane Mizoguchi (溝口), un novizio balbuziente, povero, ossessionato dall’idea di bellezza assoluta.
Fin da bambino, il protagonista ha interiorizzato il Padiglione come simbolo della perfezione estetica; quando finalmente ne contempla la presenza reale, questa bellezza lo schiaccia, lo umilia, rivela la sua piccolezza e deformità. La tensione tra l’ideale irraggiungibile e la miseria del reale diventa insopportabile, fino a spingerlo a un gesto distruttivo: se la bellezza non può essere posseduta, può almeno essere distrutta per trasformarla in mito puro, sottratto al tempo.
Il romanzo è una meditazione raffinata sull’estetica, sulla gelosia, sulla deformità fisica e morale. Anche qui, l’atto violento non è semplice delitto, ma tentativo di congelare l’istante della perfezione, evitando il degrado.
La tetralogia Il mare della fertilità (『豊饒の海』, Hōjō no umi, 1965–1970)
La tetralogia Il mare della fertilità costituisce il testamento artistico di Mishima. È composta da quattro romanzi:
• Neve di primavera (『春の雪』, Haru no yuki, 1969)
• Cavalli in fuga (『奔馬』, Honba, 1969)
• Il tempio dell’alba (『暁の寺』, Akatsuki no tera, 1970)
• La decomposizione dell’angelo (『天人五衰』, Tennin gosui, 1971, postumo)
Il filo conduttore è la figura di Honda Shigekuni (本多 繁邦), che incontriamo dapprima come giovane studente di diritto e seguiamo fino alla vecchiaia. Nel corso della sua vita, Honda crede di riconoscere in diversi giovani — un aristocratico sensibile e tragico, un fanatico nazionalista, una principessa thailandese, un adolescente ambiguo e crudele — le successive reincarnazioni di una stessa anima.
Attraverso questo dispositivo narrativo, Mishima costruisce un’immensa parabola sulla storia del Giappone dal periodo Taishō (大正時代) alla fine degli anni Sessanta, intrecciando vicende individuali e mutamenti storici. L’ossessione per la purezza, il sacrificio, il fanatismo, la decadenza morale e fisica del paese si riflette nelle vite dei personaggi, sempre votate a una forma di autodistruzione.
Alcune pagine, soprattutto in Cavalli in fuga, mettono in scena il fanatismo politico di giovani militanti di estrema destra, pronti al sacrificio rituale, anticipando in forma romanzesca il gesto compiuto dallo stesso Mishima nel 1970. La tetralogia, consegnata all’editore il giorno stesso del suicidio, appare così come l’autobiografia spirituale di un’intera epoca, filtrata attraverso il mito della reincarnazione e la consapevolezza del fallimento di ogni ideale assoluto.
Aneddoti e curiosità: l’uomo dietro il mito
Lo scrittore che voleva morire da kamikaze
L’episodio del mancato arruolamento come kamikaze, causato da un semplice raffreddore e dalla sospetta diagnosi di tubercolosi, colpì profondamente Mishima. In seguito, nelle interviste e nelle opere, traspare spesso un senso di colpa rovesciato: lui, che voleva offrire la vita in un sacrificio eroico, era sopravvissuto per caso. Una sopravvivenza sentita quasi come una colpa, che avrebbe trasformato in letteratura e in un progetto “ritardato” di morte eroica, culminato nel seppuku del 1970.
Una disciplina feroce
Testimonianze coeve raccontano che, da scrittore affermato, Mishima spesso scriveva di notte, dalle ore successive alla mezzanotte fino all’alba, e dedicava le ore diurne alla cura del corpo, alle prove teatrali, alle attività pubbliche e agli impegni della Tatenokai. La sua giornata era scandita come quella di un monaco-guerriero: penna, bilancieri, katana.
Cinema, teatro, modernizzazione del Nō
Accanto ai romanzi, Mishima si dedicò con passione al teatro, in particolare alla rilettura moderna del teatro Nō (能) e del kabuki (歌舞伎). La raccolta di drammi noti come Cinque nō moderni porta sulla scena, in abiti contemporanei, figure di spiriti, fantasmi e amanti maledetti, mostrando come la tradizione possa essere attualizzata senza perdere la sua forza simbolica. Molte di queste opere sono state rappresentate anche fuori dal Giappone.
Nel cinema, oltre a Patriottismo, partecipò come attore ad altri film, sfruttando la propria immagine pubblica di “samurai moderno” per amplificare il messaggio estetico e politico che attraversava le sue opere.
Kawabata Yasunari (川端 康成) e l’ultimo sguardo
Un aneddoto spesso riportato nelle cronache italiane dell’epoca racconta che Kawabata Yasunari (川端 康成), il grande scrittore premio Nobel e mentore di Mishima, fu condotto a vedere i corpi decapitati dell’allievo e di un suo seguace poche ore dopo il suicidio. Kawabata, uomo riservatissimo, avrebbe pianto in silenzio, senza condanne né giustificazioni, come se riconoscesse nella tragedia dell’amico il ritorno di un codice d’onore arcaico e terribile.
L’immagine pubblica in Italia
La notizia del suicidio rituale fece grande impressione anche in Italia: quotidiani e settimanali gli dedicarono servizi di apertura, oscillando tra fascinazione per “l’ultimo samurai” e giudizi severi sul suo nazionalismo. Alcuni giornalisti e scrittori italiani, tra cui Alberto Moravia (アルベルト・モラヴィア), che aveva conosciuto Mishima a Tōkyō ed era stato ospite nella sua casa, sottolinearono il contrasto fra l’europeismo ostentato della sua abitazione, piena di opere e arredi occidentali, e la radicale giapponesità della sua ideologia.
Questo doppio sguardo — Japan come radice, Europa come specchio — è parte integrante del mito di Mishima anche nella ricezione italiana.
Citazioni e riflessioni
Le parole di Mishima e su Mishima sono state ampiamente discusse. Alcune frasi, tuttavia, colgono in modo particolarmente denso il nucleo della sua visione:
• Bellezza e distruzione: “La vera bellezza è qualcosa che attacca, sopraffà, deruba e infine distrugge.” Questa formula, spesso citata, sintetizza il legame indissolubile tra estetica e violenza nella sua opera.
• Vita e morte: “Se attribuiamo un valore così alto alla dignità della vita, come potremmo non attribuirne uno altrettanto alto alla dignità della morte? Nessuna morte può dirsi futile.” Qui emerge una concezione in cui vita e morte sono simmetriche: la seconda completa la prima e ne sancisce il significato.
• Corpo, bellezza, morte: in una riflessione sulla ricerca della bellezza maschile, Mishima sostiene che la volontà di diventare bello, per un uomo, è sempre anche una “volontà di morte”: la forma perfetta del corpo è pensata come qualcosa che deve confrontarsi con il proprio annientamento.
Queste dichiarazioni non vanno lette come semplici pose provocatorie. Inserite nel contesto della sua produzione e della storia giapponese del dopoguerra, rivelano un pensatore ossessionato dall’idea che la modernità abbia svuotato di senso tanto la vita quanto la morte, riducendo l’esistenza a sopravvivenza senza onore né tragedia.
Mishima, l’Occidente e l’Italia
Fascinazione e rifiuto dell’Occidente
Fin dall’adolescenza, Mishima fu un lettore vorace di autori occidentali; fu influenzato da scrittori europei e americani, e non nascose mai il proprio interesse per il decadentismo e l’esistenzialismo. Allo stesso tempo, percepiva la modernizzazione del Giappone in chiave occidentale come un tradimento della propria identità: da un lato ammirava la raffinatezza culturale europea, dall’altro avvertiva il rischio di un’omologazione materialistica che annullava il valore sacrale dell’Imperatore, del sacrificio e della comunità.
Questa ambivalenza si riflette con chiarezza nella tetralogia Il mare della fertilità, dove la storia giapponese del XX secolo è mostrata come una lunga decadenza dalla purezza dei primi decenni del secolo all’“aridità spirituale” del dopoguerra.
L’Italia: contatti, immagini, silenzi
Per quanto riguarda l’Italia, le fonti dirette — lettere, saggi, interviste in cui Mishima esprima in modo articolato un giudizio sul nostro paese — sono scarse. Sappiamo che ebbe rapporti cordiali con esponenti della cultura italiana, come Alberto Moravia, e che la stampa italiana seguì con attenzione sia la sua carriera, sia soprattutto il suicidio, interpretandolo ora come gesto folle, ora come atto eroico, ora come sintomo di un Giappone “altro” e irriducibile ai parametri occidentali.
Non disponiamo tuttavia, allo stato attuale delle ricerche facilmente accessibili, di testi in cui Mishima sviluppi una riflessione organica sull’Italia paragonabile a quella che dedicò alla tradizione giapponese o, più in generale, all’Occidente. Possiamo dire che conosceva e stimava alcuni scrittori italiani, che fu letto e discusso in Italia fin dagli anni Sessanta, e che il suo gesto finale fu oggetto di un intenso dibattito politico-culturale. Ma attribuirgli opinioni circostanziate sull’Italia come nazione o come civiltà andrebbe oltre quanto le fonti consentono di affermare con sicurezza.
Conclusioni
Yukio Mishima, a oltre mezzo secolo dalla morte, continua a sfuggire a definizioni univoche. È al tempo stesso:
• uno dei maggiori scrittori giapponesi del XX secolo;
• un teorico radicale della bellezza e della morte;
• un nazionalista convinto e controverso;
• un artista che ha cercato di fare del proprio corpo e del proprio destino un’estensione della pagina scritta.
Confessioni di una maschera ci mostra la nascita di un io diviso, incapace di conciliare desiderio e norma; Il padiglione d’oro mette in scena l’odio per la bellezza inaccessibile, che può essere salvata solo distruggendola; Il mare della fertilità traduce in forma epica la percezione di una decadenza irreversibile, che riguarda insieme l’individuo e la nazione.
La sua filosofia — se così possiamo chiamarla — è una sfida continua: opporsi alla banalità del vivere, rifiutare la sicurezza per inseguire un destino “all’altezza della tragedia”, anche al prezzo della distruzione di sé. Questo rende Mishima una figura difficile da accettare, ma impossibile da ignorare.
Per il lettore contemporaneo, affrontare Mishima significa confrontarsi con domande che restano aperte: che cosa è una vita “degna”? Che valore ha la morte in un’epoca che la esorcizza? È lecito trasformare il proprio corpo e la propria biografia in un’opera d’arte assoluta? Nessuna risposta definitiva viene offerta, ma proprio per questo la sua opera continua a provocare, scandalizzare e affascinare.
Glossario essenziale
• Seppuku (切腹): suicidio rituale giapponese, storicamente praticato dai samurai, che consiste nello squarciarsi l’addome con una lama, spesso seguito dalla decapitazione da parte di un assistente.
• Tatenokai (楯の会): “Società dello Scudo”, milizia privata fondata da Mishima negli anni Sessanta con l’intento di difendere l’Imperatore e i valori tradizionali giapponesi.
• Gakushūin (学習院): storica scuola d’élite giapponese frequentata da membri dell’aristocrazia e della famiglia imperiale, dove Mishima studiò fin dall’infanzia.
• Nō (能): forma di teatro classico giapponese caratterizzata da recitazione stilizzata, maschere e forte simbolismo, che Mishima riprese e attualizzò in alcune sue opere teatrali.
• Reincarnazione: dottrina religiosa e filosofica secondo cui un’anima si incarna successivamente in più corpi; tema centrale nella tetralogia Il mare della fertilità.
• Shintō (神道): complesso di credenze e pratiche religiose autoctone giapponesi, incentrate sul culto dei kami (divinità/spiriti), che influenzò profondamente l’immaginario di Mishima.
Bibliografia essenziale
Opere di Yukio Mishima (三島 由紀夫) citate o rilevanti
• Confessioni di una maschera (『仮面の告白』, 1949).
• Il padiglione d’oro (『金閣寺』, 1956).
• Tetralogia Il mare della fertilità (『豊饒の海』):
◦ Neve di primavera (『春の雪』, 1969).
◦ Cavalli in fuga (『奔馬』, 1969).
◦ Il tempio dell’alba (『暁の寺』, 1970).
◦ La decomposizione dell’angelo (『天人五衰』, 1971).
• La foresta in fiore (racconti giovanili scritti fra 1941 e 1943).
• Colori proibiti (『禁色』, 1951–1953).
• La casa di Kyōko (『鏡子の家』, 1959).
• La scuola della carne (『肉体の学校』, 1963).
• Vita in vendita (『命売ります』, 1968).
• Sun and Steel (『太陽と鉄』, 1968).
• Racconti e drammi vari, fra cui Patriottismo (『憂国』) e i Cinque nō moderni.
Studi biografici e critici
• Biografie complete di Mishima, con particolare riferimento a lavori di taglio storico-critico pubblicati in Giappone, Europa e Stati Uniti.
• Enciclopedie letterarie e storiche che documentano i dati biografici (nascita, morte, formazione, attività) e la bibliografia essenziale.
• Studi specifici su Sun and Steel e sul rapporto tra corpo, estetica e scrittura nella poetica mishimiana.
• Analisi della tetralogia Il mare della fertilità in chiave storica, simbolica e allegorica, con attenzione alla rappresentazione della storia giapponese del Novecento.
• Saggi e articoli di studiosi italiani sul “caso Mishima”, in particolare riguardo alla ricezione del suo suicidio rituale e al dibattito sorto nella stampa nazionale.

Yukio Mishima riposa nel Cimitero Tama (多摩霊園, Tama Reien), un grande cimitero pubblico situato nella zona ovest della area metropolitana di Tōkyō, a Fuchū (府中市), metropoli di Tokyo. Il nome reale dell’autore, Hiraoka Kimitake (平岡 公威), risulta scolpito sulla lapide, dato che “Yukio Mishima” è uno pseudonimo.




