Le cronache di Seimei

Le Cronache di Seimei: il figlio della Volpe Bianca

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Le Cronache di Seimei: il figlio della Volpe Bianca

«Mi chiamo Hisao, Takamura Hisao. Ho ormai molti inverni sulle spalle e le mie mani tremano mentre afferro il pennello, ma la memoria, quella sì, resta intatta, come incisa nella pietra. Prima che le nebbie della vecchiaia cancellino ciò che ho visto, sentito e vissuto, è giusto che io racconti le gesta del più grande onmyōji che il Giappone abbia mai conosciuto: il mio maestro e mentore, Abe no Seimei.
Ma per capire chi fu Seimei, bisogna partire dal principio. Da molto prima che fosse un uomo. Da quando era solo un segreto custodito tra le foglie d’autunno e la rugiada del mattino. Era il tempo del regno dell’Imperatore Daigo…»

 

Il Segreto di Kuzunoha
Tanto tempo fa, a Izumi, nella provincia di Settsu, viveva un giovane di nome Abe no Yasuna, un nobile dall’animo gentile appartenente a uno dei più potenti clan del Giappone. Un giorno, mentre camminava verso il santuario di Shinoda per pregare gli spiriti della foresta, udì un urlo.
Un cacciatore, un altro nobile intento alla caccia, stava inseguendo una volpe bianca. Yasuna, mosso a compassione, si frappose tra la volpe e il cacciatore, permettendole di fuggire e scontrandosi con l’altro uomo. Nel duello, benché vittorioso, fu ferito a una spalla e cadde tra le radici di un pino.
Fu allora che la vide per la prima volta: una fanciulla bellissima, dagli occhi d’ambra e i capelli lunghi e neri come la notte. Si chiamava Kuzunoha. Disse di essere una guaritrice e, con mani leggere, curò la ferita di Yasuna. I giorni divennero settimane; i due presero a frequentarsi, e l’amore tra loro sbocciò. Presto Yasuna la chiese in sposa.
Nessuno sapeva da dove venisse Kuzunoha. Era dolce e silenziosa, eppure nei suoi occhi ardeva qualcosa di selvaggio, come il vento che scuote i bambù. Ebbero un figlio, che chiamarono Seimei — anche se da bambino era conosciuto come Dōji.
Per alcuni anni vissero felici, ma il bambino era diverso dagli altri. Era straordinariamente intelligente. Parlava con gli insetti, sapeva quando sarebbe piovuto prima ancora che apparissero le nuvole. Una volta, durante una visita al mercato, Seimei fissò un venditore di pesce e disse a una donna: «Non mangiare quella carpa, è morta ieri». Il venditore, furente, lo cacciò via, ma più tardi ammise che il piccolo aveva ragione.
Il bimbo era talmente dotato che un giorno, mentre Kuzunoha ammirava dei bellissimi crisantemi e si era dimenticata di nascondere la sua coda candida come la neve, venne scoperta dal figlio. Era lei, la volpe che aveva salvato Yasuna anni prima.
In virtù delle antiche leggi dei kami, dovette abbandonare la sua famiglia, nonostante le suppliche del marito, cui non importava nulla della sua natura. Fece così ritorno alla foresta, ma non prima di aver lasciato una poesia per il marito e il figlio, invitandoli a cercarla a Shinoda:

 

«恋しくば
尋ね来て見よ
和泉なる
信太の森の
うらみ葛の葉»

«Koishiku ba
tazunekite miyo
izumi naru
shinoda no mori no
urami kuzunoha»

«Se mi amate, cari, venite a vedermi.
Mi troverete laggiù nel grande bosco
di Shinoda, nella provincia di Izumi,
dove le foglie di kudzu
frusciano sempre d’umor pensoso.»

Scomparve tra le ombre del bosco, lasciando Yasuna e Seimei soli, ma non prima di aver donato al figlio la capacità di comprendere il linguaggio di tutti gli animali.

L’infanzia del figlio della Volpe
Dopo la partenza della madre, Seimei crebbe come un ragazzo introverso, ma acuto. Era attratto dai segreti della natura, dalla danza delle fiamme, dal volo dei corvi e dal silenzio delle tombe. Si diceva spesso che parlasse con gli spiriti. Alcuni lo temevano, altri ne erano incuriositi.
Quando compì dieci anni, fu affidato a Kamo no Tadayuki, uno degli onmyōji più illustri di Heian-kyō, la capitale. Fu lui il primo a riconoscere in Seimei un potere che nessun altro essere umano possedeva. «Questo ragazzo», disse al figlio Kamo no Yasunori, «non è solo un uomo. È figlio del regno delle volpi. I kami lo proteggono.»
E così Seimei apprese l’arte dell’onmyōdō, l’antica via che unisce yin e yang, cielo e terra, stella e spirito. Studiava i cicli degli astri, la scrittura segreta dei sigilli, i nomi degli spiriti della montagna e i cuori dei demoni che vivono nell’ombra. Era un allievo instancabile, ma spesso si allontanava dai sentieri del tempio per ascoltare i sussurri del vento e inseguire le orme invisibili degli yōkai.

Il debutto a Corte
All’età di vent’anni, Seimei fu convocato alla corte imperiale di Heian-kyō. Regnava l’Imperatore Suzaku. Si diceva che l’Imperatore fosse tormentato da sogni oscuri, e che la città fosse percorsa da malattie inspiegabili, tempeste improvvise e sussurri di spiriti vendicativi.
I monaci e gli indovini tradizionali non riuscivano a portare pace. Allora giunse Seimei, avvolto in un semplice kariginu color sabbia, con in mano un bastone di pruno nero. Gli anziani della corte risero del giovane dagli occhi troppo chiari e dallo sguardo inquietante. Ma Seimei non si curava delle risate. Scrisse un talismano, lo immerse nell’acqua sacra e ordinò che fosse posto sotto il cuscino dell’Imperatore.
Quella notte, i sogni dell’Imperatore furono limpidi come lo specchio dell’acqua. Il giorno dopo, le nubi si aprirono e i malati cominciarono a guarire.
Fu allora che il nome di Abe no Seimei si diffuse in tutta la capitale. Ricevette il titolo di onmyōji supremo e divenne consigliere imperiale. Ma non fu mai un uomo avido di potere. Preferiva camminare nei giardini silenziosi, dialogare con i kami e ascoltare ciò che la terra raccontava.

 

L’incontro
Ricordo ancora la prima volta che lo vidi. Ero solo un bambino, figlio del bibliotecario del palazzo imperiale, e stavo portando dei rotoli di pergamena ai saggi. Un giorno, inciampai e rovesciai un vaso d’inchiostro. Pensavo mi avrebbero sgridato. Invece, un giovane uomo si chinò e mi porse un panno.
«Non preoccuparti, Takamura-chan. Anche l’inchiostro ha il suo destino.»
Era Seimei. Da quel giorno divenni il suo aiutante, poi il suo discepolo e infine il suo confidente. Egli mi insegnò a riconoscere il soffio di uno spirito nei sogni, a scrivere talismani con inchiostro di riso e sangue di furetto, a disegnare i sigilli che respingono i demoni.
Una volta, camminando lungo il Kamo-gawa, il fiume delle anatre, vidi Seimei fermarsi davanti a una vecchia statua di Jizō. Mormorò parole che non compresi e posò una foglia sulla fronte della statua. Poco dopo, una donna cieca che passava inciampò e toccò la statua. Gridò: «Vedo! Vedo la luce del sole!»
Non disse nulla, Seimei. Solo chinò il capo, sorrise e proseguì.

Il figlio della Volpe e il Destino
Non fu facile per lui, figlio di una volpe, vivere tra gli uomini. I nobili lo temevano, gli altri onmyōji lo invidiavano. Lo accusarono di stregoneria, di patti con spiriti oscuri, e una volta tentarono persino di avvelenarlo con il riso dei templi. Ma il veleno non ebbe effetto.
Quando gli chiesi perché non si vendicasse, rispose:
«Un uomo che domina gli spiriti non può essere dominato dalla collera. La volpe corre leggera perché sa che ogni passo lascia un’impronta. Anche sul cuore degli uomini.»
Conservava ancora, in una scatola di legno profumato, la foglia su cui sua madre aveva lasciato, per lui e per suo padre, la poesia con cui li aveva salutati tanto tempo prima. Ogni anno, nell’ultima notte d’autunno, la portava con sé nella foresta di Shinoda, dove viveva Kuzunoha…

«Questa è solo la prima storia di molte. Perché Seimei non fu solo un grande mago, ma anche un difensore della pace e della giustizia, e visse, con me al suo fianco, molte avventure in cui affrontò uomini malvagi e creature dell’ombra. Io sono Hisao Takamura, fui suo aiutante e sono l’unico che può narrare le cose mirabolanti che egli fece e io vidi.»

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