I racconti di Yuki

Il suono della katana spezzata

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Dopo la Restaurazione Meiji, Ishikawa Genzō perse tutto.
Non solo il suo titolo di samurai, ma la ragione stessa di esistere.

Per quarant’anni aveva servito il suo signore.
Poi, in una notte senza luna, ruppe la sua katana.
Non per rabbia.
Per espiare.

Fuggì tra le montagne del Tōhoku.
Un piccolo villaggio.
Una capanna di legno.
Silenzio.

Ogni mattina, inchini al sole.
Ogni sera, nessuna parola.
I bambini lo temevano.
Le donne lo rispettavano.
Gli anziani abbassavano lo sguardo.

Ma nessuno conosceva davvero il peso del suo passato.

Poi venne l’inverno della fame.
E con lui, i banditi.

Volti giovani, occhi disperati, lame senza onore.
Presero ciò che volevano.
Riso, denaro, dignità.

Il villaggio tremava.

E Genzō guardava.

Fino a quando…
aprì il pavimento della sua capanna.
E trovò ciò che aveva giurato di non toccare mai più.

Una katana spezzata, avvolta nel panno di seta del padre.

Scese tra la neve.
Silenzioso.
Presente.
Vivo.

“Chi sei, vecchio?” rise uno dei banditi.

Non rispose.

Ma la sua spada sì.

Due colpi. Precisi.
Nessuna ferocia. Solo necessità.

Il capo dei banditi fuggì, inseguito dal suono del passato.

Quella notte, Genzō non cercò applausi.
Non cercò redenzione.

Rimise la katana sotto il pavimento.
La guerra era finita, di nuovo.
Ma non l’onore.

Dormì senza sogni.
E il vento, tra i rami spogli, cantava un nome antico:

感謝
Kansha.
Gratitudine.

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