
Shizuka e Yoshitsune: La danza tra i glicini (parte 1 di 7)
Era da poco passata la mezzanotte quando Aya, con Yoru al suo fianco, si avviò verso casa dopo aver chiuso la taverna della Locanda della Luna. La serata era stata tranquilla: i soliti clienti, ormai amici, tra cui l’irrequieto Haruki, sempre più inquieto. “Che avrà mai Haru?” si chiese Aya, osservandolo con attenzione. Unica novità erano quei due individui enigmatici che da qualche sera frequentavano la taverna. Taciturni e discreti, sedevano a bere sakè, fissando silenziosamente l’ingresso. Nao, con la sua solita ironia, li aveva soprannominati “i due corvacci”, per via dei loro giubbotti neri, usciti probabilmente da un baule degli anni ’60.
Persa nei suoi pensieri, Aya quasi non si accorse di aver deviato dal percorso abituale. Si ritrovò in un giardinetto pubblico dove, anni prima, da bambina, i suoi genitori la portavano a giocare. Un dolce turbinio di ricordi la avvolse, finché il miagolio di Yoru non la riportò alla realtà.
Sotto i rami di glicini dal profumo delicato, il gatto si fermò bruscamente, fissando un punto davanti a loro.
«Che c’è, Yoru?»
Il felino non rispose, continuando a scrutare un cespuglio, dal quale emergeva una leggera foschia. Tra la nebbia apparvero due figure umane… o almeno, così sembravano.
L’uomo, dallo sguardo intenso e fiero, indossava una ō-yoroi, l’antica armatura dei samurai. La donna, di una bellezza eterea, portava un Jūnihitoe dell’epoca Heian. Aveva un’espressione dolce, ma i suoi occhi custodivano una malinconia profonda.
Era una di quelle notti particolari, fatta di incontri speciali che potevano accadere solo nella magica Kyoto, a una fanciulla dagli occhi verdi e al suo enigmatico gatto.
Aya fece un passo indietro. I due si stavano fissando negli occhi, immersi in un dialogo silenzioso e intenso. Poi, quasi all’unisono, si voltarono verso Aya e Yoru, la curiosità nei loro sguardi.
«Chi siete…?» domandò Aya sottovoce, con rispetto.
La voce dell’uomo risuonò con la potenza di un guerriero e la malinconia di un poeta che aveva visto troppa morte.
«Un tempo cavalcavo in battaglia, la mia katana era un flagello per i nemici. I venti della guerra, portatori di gloria e distruzione, segnarono il mio destino, strappandomi l’onore e gli affetti.»
La donna lo guardò con infinita tenerezza. Il suo amore sembrava trascendere la vita e la morte.
«Ci fu un’epoca in cui danzavo vestita come un guerriero. I miei passi, leggeri come foglie al vento, erano una preghiera silenziosa. La mia danza raccontava promesse sussurrate sotto la luna, attese mai mantenute, speranze infrante come cristalli.»
Aya aggrottò le sopracciglia. Quelle frasi enigmatiche le evocavano un ricordo lontano, qualcosa di cui aveva sentito parlare tempo prima.
L’uomo chinò il capo, il peso di un antico tradimento ancora sulle sue spalle.
«Fui tradito dal sangue e dal destino, dalle trame oscure di chi invidiava la mia gloria. Costretto alla fuga, braccato come una preda, inseguito fino a una fine amara, lontano dalla mia amata.»
La donna abbassò lo sguardo, ma il suo tono aveva la forza di chi ha sopportato l’insostenibile.
«Attesi il suo ritorno, con la fede incrollabile di un amore vero. E quando il tempo, crudele e inesorabile, mi tolse ciò che amavo, il mio cuore non smise di cercarlo. Lo udivo nel vento, ne sognavo il volto nella notte.»
Aya rabbrividì. Li riconobbe.
«Voi… siete Yoshitsune e Shizuka!» esclamò, ricordando il Heike Monogatari.
La dama sfiorò i glicini con dita delicate come il vento.
«Peccato non poter toccare questi petali…» sussurrò. La sua mano attraversò la pianta, lasciandola intatta.
Aya fu pervasa da un’emozione profonda. Aveva di fronte due leggende, amanti separati dalla guerra, dal tradimento, dal destino crudele. Minamoto no Yoshitsune e Shizuka Gozen: i loro nomi riecheggiavano nei secoli, simboli di un amore infranto.
«Ora siamo ombre, tesoro mio» disse dolcemente Yoshitsune alla sua compagna, «ma finalmente insieme, liberi dalle catene del mondo terreno. La terra ci ha divisi con la violenza e l’inganno, ma il cielo, nella sua infinita compassione, ci ha ricongiunti in questo eterno abbraccio.»
Shizuka sorrise, lieve come il soffio della notte che porta con sé il profumo dei ricordi.
«E così, fanciulla dagli occhi verdi, danziamo sotto questi glicini che fioriscono nel ricordo del nostro amore, senza più le paure dei mortali. Ma con chi abbiamo il piacere di dialogare in questa notte di luna piena?»
«Il mio nome è Aya, e lui» disse, indicando il suo gatto «è il mio amico Yoru.»
I due spiriti si scambiarono uno sguardo sorridente.
«Anche noi abbiamo avuto un gatto. Si chiamava Momo e aveva il colore delle pesche. Chissà dove sarà finito… Sparì quando Yoshitsune fu costretto alla fuga, inseguito dalle forze di suo fratello Yoritomo. Io fui riconosciuta e catturata dai guerrieri che ci davano la caccia.
Portata a Kamakura, mi obbligarono a eseguire una danza davanti al santuario Tsurugaoka Hachiman, dove, indossati gli abiti da Shirabyōshi, cantai versi pieni di nostalgia per Yoshitsune. Questo fece infuriare Yoritomo, che voleva la mia morte, ma sua moglie, la saggia Hōjō Masako, mostrò compassione per me e riuscì a placare la sua ira.»
Aya e Yoru rimasero immobili, rapiti dal racconto. Ma la brezza si alzò, e i due spiriti iniziarono a svanire.
«Che succede?» chiese Aya, stupita.
«Non temere, Aya-chan… per questa notte, il nostro tempo qui è giunto al termine.»
Aya abbassò lo sguardo, dispiaciuta.
«Shizuka-sama, mi è piaciuto sentire il vostro racconto…»
Yoshitsune le rivolse un sorriso sereno.
«Se desideri sapere di più, torna qui domani notte. Per sette giorni, i Kami ci concedono di esistere in questa realtà. Sarà un onore condividere parte di questo tempo con te e il tuo compagno a quattro zampe.»
Aya annuì, col cuore colmo di meraviglia.
«Ci saremo. A domani… e grazie.»
«Grazie a te, fanciulla dagli occhi verdi…» sussurrò Shizuka prima di svanire.
La foschia si dissolse, lasciando dietro di sé il dolce profumo dei glicini e l’eco di una danza appassionata.
Aya accarezzò Yoru e sorrise.
«Andiamo… domani ci attendono nuove sorprese.»
Yoru socchiuse gli occhi. “Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto Momo…” pensò.
Nota per le lettrici e i lettori:
Lo Heike Monogatari è un epico racconto giapponese del XIV secolo che narra la caduta del clan Taira durante la guerra Genpei (1180-1185). È una delle opere più importanti della letteratura giapponese medievale, tramandata oralmente dai monaci itineranti e accompagnata dal suono del liuto biwa. Il testo enfatizza il concetto buddista di mujō (impermanenza), mostrando la transitorietà della gloria e del potere.
Le Shirabyōshi erano intrattenitrici giapponesi attive durante i periodi Heian e Kamakura. Erano donne che si esibivano in danze e canti, spesso vestite con abiti maschili, e si esibivano per la nobiltà e i samurai. La loro arte influenzò il teatro Noh e altre forme di spettacolo giapponese. Alcune, come Shizuka Gozen, divennero figure leggendarie.

