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Il profumo del te perduto

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L’aria densa di incenso e del leggero aroma di matcha aleggiava nella bottega di Akemi, un santuario di creta e quiete nel cuore pulsante di Kyoto. Le sue mani, segnate da anni di sapiente manipolazione dell’argilla, accarezzavano la superficie liscia di una nuova tazza raku, un nero profondo screziato di riflessi ambrati. Ma una sottile inquietudine increspava la serenità dei suoi occhi solitamente miti. Da qualche giorno, un’ombra si insinuava nel suo piccolo universo: il suo giardino segreto, custode degli ingredienti preziosi per la miscela di tè tramandata dalla sua bisnonna, sembrava respirare un’aria di inspiegabile rarefazione.


Il primo indizio fu la scomparsa delle foglie vellutate di kuro-momiji, l’acero nero dalle sfumature rubino che conferiva al tè una nota terrosa e profonda. Akemi inizialmente scrollò le spalle, attribuendo la sparizione a qualche goloso uccello. Ma la mattina seguente, al posto delle fragranti cimette argentate di gin-hakkaku, l’anice stellato argentato che risvegliava il palato con un sussurro dolce, trovò un piccolo foglio di carta di riso appoggiato delicatamente sul terreno umido. La calligrafia elegante tracciava un haiku:
> Ramo spezzato cade,
> Amaro rimpianto nel cuore,
> Tè senza memoria.

Un brivido freddo percorse la schiena di Akemi. Quelle parole, velate di tristezza e di un eco lontano, risuonarono con un vago ricordo di racconti sussurrati nella sua infanzia. La sparizione successiva, quella delle delicate foglioline di yuki-shita, la sassifraga che donava al tè una freschezza cristallina, fu accompagnata da un altro haiku, ancora più enigmatico:
> Silenzio tra le pietre,
> Un segreto celato al vento,
> Sapore svanisce.

La paura iniziò a serpeggiare nel cuore di Akemi, un’emozione rara nella sua esistenza placida. Si confidò con Hana, sua nipote, il cui ritorno a Kyoto dopo anni di lontananza aveva portato una ventata di energia nuova nella vecchia casa di famiglia. Hana, con i suoi occhi acuti e la mente analitica, percepì subito la gravità della situazione. Non si trattava di semplici furti di erbe; c’era un filo sottile, quasi spettrale, che legava le sparizioni ai versi misteriosi.
Insieme, iniziarono a frugare tra le scatole impolverate soffitta, tra vecchie fotografie ingiallite e rotoli di seta scritti con calligrafia sbiadita. Hana lesse ad alta voce antiche lettere, cercando un nesso tra gli haiku e la storia della loro famiglia. Affiorarono storie di artisti rivali, di amori contrastati sullo sfondo austero del periodo Meiji, di silenziose incomprensioni che avevano incrinato i legami familiari come una crepa sottile su una preziosa ceramica.
La suspense crebbe con ogni ingrediente mancante. Il profumo del tè preparato da Akemi, un tempo ricco e avvolgente, si faceva sempre più flebile, quasi un presagio di una perdita irreparabile. Hana sentiva il peso della responsabilità crescere dentro di sé. Non poteva permettere che la tradizione di famiglia, quel filo invisibile che la legava alle sue radici, svanisse nel nulla a causa di un mistero così inquietante.
Le loro ricerche le condussero in antichi archivi di templi dimenticati, dove polverosi registri svelarono frammenti di vite passate. Interrogarono anziani del quartiere, i cui occhi velati dal tempo sembravano custodire segreti sussurrati di generazione in generazione. Ogni nuova informazione era come un tassello di un mosaico frammentato, che lentamente iniziava a rivelare un disegno oscuro e inaspettato.

La penultima sparizione riguardò i petali vellutati di kinmokusei, l’osmanto dorato che donava al tè una fragranza dolce e inebriante. L’haiku trovato questa volta era il più inquietante di tutti:
> Ombra nel pozzo antico,
> Il riflesso inganna il cuore,
> Verità affonda.
>
Un senso di pericolo imminente strinse il cuore di Hana. Il “pozzo antico” menzionato nel verso si trovava nel cortile interno della vecchia casa di famiglia, un luogo da tempo dimenticato e coperto di edera. Con il cuore che batteva all’impazzata, Hana e Akemi si recarono nel cortile. Smossero le pesanti assi di legno che coprivano l’imboccatura del pozzo, e un odore acre di umidità e terra umida salì nell’aria.

L’ultimo haiku giunse come una foglia autunnale portata da un vento leggero, depositandosi sul davanzale polveroso della finestra di Akemi:
> Sotto la pietra muschio,
> Radici intrecciate nel buio,
> Un cuore svelato.
>
Hana osservò il verso, il suo sguardo saettare dal foglio alla piccola incisione su una vecchia lanterna di pietra nel giardino, una lanterna che sua nonna le aveva raccontato essere stata un dono di un antenato giardiniere. Un’intuizione la colpì come un lampo. Si inginocchiò accanto alla lanterna, tastando la base coperta di muschio umido. Con delicatezza, rimosse alcune pietre smosse alla base.
Sotto, protetto dalla terra e dalle radici intrecciate di un antico glicine, trovò un piccolo cofanetto di legno di paulonia, la cui superficie era liscia e opaca come seta invecchiata. Il suo cuore batteva forte mentre lo sollevava. All’interno, adagiato su un panno di seta color indaco sbiadito, non c’era l’ingrediente mancante, la rara radice di koke-ran che conferiva al tè la sua persistente nota dolceamara. Invece, trovò un quaderno rilegato a mano con carta di riso ingiallita dal tempo.
Le prime pagine erano piene di una calligrafia elegante e appassionata, quella di un antenato di Akemi, un giovane apprendista ceramista innamorato segretamente di una donna di un’altra classe sociale, un amore proibito che aveva dovuto tenere nascosto per non disonorare la sua famiglia. Le ultime pagine, scritte con una mano tremante e intrisa di malinconia, rivelavano il suo rimpianto più grande: non aver mai potuto condividere con la sua amata una tazza del tè speciale della sua famiglia, un tè che per lui era simbolo di intimità e di un futuro negato.
Tra le pagine ingiallite, Hana trovò anche dei piccoli disegni a inchiostro: schizzi delle erbe aromatiche utilizzate nella preparazione del tè, ognuna annotata con un verso, una riflessione sull’amore, sulla perdita e sul desiderio inespresso. Gli haiku che avevano accompagnato le sparizioni non erano minacce o indovinelli, ma frammenti di questi antichi versi, un eco del passato che cercava di farsi ascoltare.
La persona che aveva sottratto gli ingredienti non voleva rubare la ricetta, ma ripercorrere un sentiero di dolore e memoria, forse un discendente di quell’amore proibito, cercando di comprendere un sacrificio fatto tanto tempo prima. La scomparsa degli ingredienti e gli haiku erano un disperato tentativo di riportare in vita una storia dimenticata, di assaporare, anche solo per un istante, il “profumo perduto” di un amore mai consumato.
Akemi, con gli occhi lucidi, prese tra le mani il quaderno. Il vero ingrediente mancante non era una radice o una foglia, ma la comprensione di un pezzo del loro passato familiare, un “cuore svelato” attraverso le parole silenziose di un antenato. Il profumo del tè, anche se temporaneamente affievolito, ora portava con sé una nuova fragranza: quella della compassione, della memoria ritrovata e della consapevolezza che le radici di una famiglia sono intrecciate non solo con le gioie, ma anche con i dolori e i segreti del passato. Il tè che avrebbero preparato di nuovo avrebbe avuto un sapore più ricco, intriso di una storia ritrovata e di un legame familiare ancora più profondo.

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