Le notti di Kyoto

Shizuka e Yoshitsune – La danza tra i glicini (parte 3 di 7)

Reading Time: 4 minutes

La notte successiva giunse carica d’attesa. Aya, dopo aver terminato il lavoro alla taverna con una rapidità che fece insospettire persino Nao, sempre più attenta ai comportamenti dell’amica, si incamminò con Yoru verso il giardino dei glicini. La luna, ancora piena e luminosa, sembrava vegliare silenziosa sul segreto che solo loro condividevano.
Il giardino era immerso in un silenzio profondo, rotto solo dal canto lontano di un usignolo e dal lieve fruscio del vento. I glicini tremolavano come veli in una danza lenta, e la foschia — come la sera precedente — si sollevò con la solennità di un sipario.
Yoshitsune e Shizuka apparvero nuovamente, le loro figure circondate da un’aura lieve e tremolante. Shizuka indossava stavolta un abito bianco, mentre Yoshitsune, quella notte senza armatura, sembrava avvolto da un’ombra antica, come un ricordo dimenticato dal tempo.
«Bentornati, Aya-san e Yoru-san», disse Yoshitsune, con voce gentile.
«Questa notte, come promesso, vi parlerò di alcune delle mie battaglie, ma anche dell’amore che nacque tra le avversità.»
Aya sedette sulla stessa panchina della notte precedente, stringendosi nel suo giubbotto – c’era molta umidità – e Yoru saltò accanto a lei e chiuse gli occhi, come per concentrarsi meglio.
Yoshitsune si avvicinò lentamente ai due e iniziò il primo racconto.
«Fu nel secondo mese del 1184 che il sangue chiamò il sangue. Mio cugino Yoshinaka, il ribelle, aveva osato sfidare Yoritomo, e con lui anche me. Lo incontrai ad Awazu, nella fredda provincia di Ōmi. Il campo era coperto di neve e fango. Lo scontro fu feroce, un turbine di frecce e urla. Alla fine vinsi la battaglia; Yoshinaka fu piegato e affrontò il suo destino con onore. Accanto lui, durante la battaglia, ricordo la fiera e impavida Tomoe. Quanto amore li legava. Io non gioii della vittoria, feci quello che doveva essere fatto.»
Shizuka abbassò lo sguardo, mentre il vento accarezzava i suoi eterei capelli.
«Tornai da Shizuka quella notte. Mi attendeva in un piccolo santuario poco distante dal luogo dove ero accampato con le mie truppe. Le sue mani tremavano nel vedermi, ma non pronunciò alcuna parola. Solo mi strinse al petto, e con il suo silenzio lenì, anche se per poco, il dolore causato dai miei gesti. Dormimmo abbracciati, stretti come radici d’albero nella tempesta.»
Lo sguardo fiero del samurai si volse verso la luna.
«Poi ci fu Ichi-no-Tani!»

La battaglia di Ichi-no-Tani (18 marzo 1184) narrata da Minamoto no Yoshitsune
«La notte era carica di presagi. L’aria era tagliente e il vento che spirava dalle montagne di Settsu portava con sé il profumo del mare e il sentore del sangue che sarebbe stato versato all’alba. Avevo combattuto molte battaglie, avevo visto il volto della guerra mutare come le onde, ma mai avevo affrontato un nemico così serrato tra il mare e le montagne.»
«Divisi i miei uomini: Noriyori avrebbe marciato con cinquantamila guerrieri lungo il cammino sicuro, da ovest; io, invece, con diecimila, avrei cercato la breccia impossibile, il sentiero che nessuno considerava praticabile. La fortezza di Ichi-no-Tani, arroccata tra le vette e le acque, era protetta ai fianchi da Mikusuyama e Ikuta-no-Mori. Era un’impresa apparentemente impossibile.»
Per un attimo Yoshitsune tacque, quasi a raccogliere i lontani ricordi.
«Giunsi a Mikusuyama con la notte ancora fitta. I miei uomini si mossero con la precisione dei falchi predatori; in pochi istanti le fiamme delle torce illuminavano il campo, e gli ultimi guerrieri Taira giacevano sotto le nostre lame. Ma non bastava. Serviva qualcosa che spezzasse la volontà degli assediati. Fu allora che vidi i cervi. Due giovani esemplari, agili e leggeri, che scendevano il ripido pendio che dominava Ichi-no-Tani. Le mie labbra si piegarono in un sorriso. Se quei cervi potevano scendere, potevamo farlo anche noi.»
«Con cento dei miei migliori cavalieri, tra cui il fedele Benkei, mi spinsi fino alla vetta e al primo raggio di sole ci lanciammo giù. La terra tremò sotto gli zoccoli dei nostri destrieri, e il grido di battaglia squarciò l’aria come un tuono improvviso. I guerrieri Taira ci guardarono con occhi pieni di terrore: piombavamo su di loro come spiriti dell’inferno.
Il fragore delle armi riempì la costa, e il mare inghiottì i corpi di coloro che cercavano la fuga. Alcuni riuscirono a salpare verso Yashima, ma la fortezza era nostra. Il comandante Taira no Tadanori trovò la morte, mentre Taira no Shigehira fu catturato.
E poi, sulla riva, un duello che ancora oggi mi tormenta. Kumagai Naozane affrontò il giovane Atsumori, e quando lo atterrò e gli tolse l’elmo, lo vide per ciò che era: non un nemico, ma un ragazzo, forse della stessa età di suo figlio. Vidi il suo volto straziato mentre, con le lacrime agli occhi, promise di pregare per lui e gli prese la vita, perché se non fosse stato lui, sarebbe stato qualcun altro.
La guerra è questo, una danza di acciaio e destino, dove la vittoria ha il sapore amaro della tragedia. Ichi-no-Tani era nostra, ma il sangue versato, le vite spezzate, mi avrebbero seguito per sempre.»
Parve, per un attimo, che una lacrima solcasse il viso del guerriero.
«Questa è la storia di quella notte. Che sia ricordata non solo per la vittoria, ma per il prezzo che ognuno di noi pagò.»

Shizuka gli accarezzò teneramente il volto.
«Ogni volta che tornava da me», sussurrò Shizuka «non era mai lo stesso uomo. Portava nel cuore i morti, e negli occhi una tristezza infinita. Ma io danzavo per lui, perché la danza era l’unico modo in cui sapevo guarire le sue ferite.»
Il silenzio calò, profondo, e i due amanti iniziarono a svanire tra le ombre.
«Domani, torneremo ancora in questo luogo. Ci sarete anche voi?» chiese Shizuka ad Aya e a Yoru, «ci sono ancora tante cose da raccontare.»
Yoshitsune si inchinò leggermente verso Aya.
«Buona notte, custode dei ricordi, fanciulla dagli occhi verdi…»
Yoru alzò il capo e miagolò sommessamente.
«Buonanotte anche a te, amico mio, prima che termini il tempo concessoci, ti racconteremo anche del nostro gatto, Momo.» concluse sorridendo Yoshitsune.
La foschia tornò ad avvolgere i due spiriti, lentamente. Il giardino dei glicini, testimone del loro amore, rimase per qualche attimo immerso in una luce irreale. Poi tutto si dissolse.
Aya rimase lì ancora un momento, accarezzando il pelo di Yoru.
«L’amore che sfida il tempo…» mormorò.
«Andiamo a casa, Yoru.»
Yoru socchiuse gli occhi, approvando. Poi, in silenzio, tornarono insieme verso casa.

Lascia una risposta

error: Content is protected !!