
Il ventaglio dai mille crisantemi
🌸 Introduzione – Kamakura, ai giorni nostri
La polvere danzava pigramente nei raggi fiacchi del sole che filtravano attraverso le finestre della vecchia kura, il magazzino tradizionale in legno annerito, costruito generazioni prima sul retro della casa di famiglia. All’esterno, Kamakura sonnecchiava sotto una pioggia leggera, il cui suono regolare si mischiava al richiamo lontano delle cicale estive tra i bambù, creando un sottofondo ovattato e immobile, quasi irreale.
Dentro la kura, invece, l’aria aveva il peso del passato.
Odorava di carta antica, di lacca screpolata, di seta e fumo dimenticato. Ogni oggetto posato sugli scaffali — ventagli, calligrafie, scatole in madreperla, fotografie ingiallite — pareva trattenere un respiro sospeso. Per Yumi, quella stanza non era solo un deposito di cose, ma un archivio invisibile di vite mai raccontate.
Le sue dita, coperte da guanti sottili, si muovevano lente tra stoffe impolverate e lacche consumate. Ogni rumore — un cigolio del legno, un colpo di vento sulla parete — le sembrava amplificato, come se la kura stessa stesse vegliando, in ascolto.
Era tornata a Kamakura per sistemare la casa dei nonni dopo la morte della madre. Ma in verità, cercava molto di più. Un filo, forse. Una memoria, un frammento che le restituisse una direzione.
Poi, tra due scatole di kiribako impilate, trovò un oggetto che la fece trattenere il respiro.
Un ventaglio uchiwa, elegante e silenzioso, custodito in una custodia in seta grezza, chiusa con un nodo semplice. Lo estrasse con delicatezza. La seta avorio, tesa sulla struttura in bambù laccato nero, era intatta. Ma ciò che la colpì fu il motivo dipinto: una distesa di crisantemi, mille, tutti diversi, così minuziosamente rappresentati da sembrare vivi.
Bianco lunare, giallo caldo, rosa appena sbocciato.
Sfiorò la superficie liscia. Un brivido. Non solo per la seta, ma per la sensazione inspiegabile di essere osservata.
Il profumo tenue di sandalo antico sembrò alzarsi dal ventaglio, e nel silenzio irreale della kura, qualcosa cambiò.
Quando notò il primo ideogramma inciso nel cuore di un fiore, minuscolo, quasi invisibile, capì che quell’oggetto non era un semplice ventaglio decorativo.
Era una lettera.
Un messaggio cifrato. Una voce antica, celata tra petali di crisantemo.
Yumi non sapeva ancora dove l’avrebbe portata. Ma comprese subito che quella seta custodiva una storia troppo intensa per restare dimenticata. Una storia che pretendeva di essere ascoltata.
🌸 Capitolo 1 – Il fiore che non appassisce
Yumi sedette sul pavimento in tatami consumato della vecchia casa, il ventaglio poggiato sulle ginocchia come un oggetto sacro. Fuori, la pioggia continuava a cadere sottile, come se ogni goccia volesse cullare la memoria del mondo. Un profumo vago di tè verde, mescolato al legno umido della kura, le riempiva le narici, mentre il tessuto del suo abito frusciava appena, seguendo il ritmo lento del suo respiro.
Tornò a osservare quei crisantemi.
Le dita sfiorarono la seta con delicatezza, lasciandosi guidare dai rilievi quasi impercettibili. In ciascun fiore, scopriva un minuscolo ideogramma inciso con una precisione ossessiva, come un sussurro cifrato nella lingua del passato. Prese una lente d’ingrandimento, la accostò alla seta, e lentamente iniziò a leggere.
「月下の宴」
“Il banchetto sotto la luna.”
Fu come aprire un varco.
All’improvviso, l’aria della kura si fece più densa. Il ticchettio della pioggia sembrò rallentare. E Yumi si trovò immersa in un’immagine così vivida da sembrarle reale.
Edo – primavera del 1768. Il cielo era terso, rischiarato dalla luce diafana di una luna crescente. I rintocchi delle campane di un tempio lontano accompagnavano i passi notturni nel quartiere recintato di Yoshiwara, dove il mondo si concedeva il lusso di fluttuare.
Kiku camminava tra le lanterne accese, il volto composto nella maschera bianca delle tayū, cortigiane di alto rango. Il suo kimono, un capolavoro ricamato con fili d’oro, frusciava a ogni passo, liberando l’aroma del legno di agar, nascosto tra le pieghe. Sotto la parrucca perfettamente acconciata, i suoi occhi restavano bassi, ma vigili. Ogni suo movimento era arte. Ogni parola, calibrata.
Quella sera, era stata scelta per una cerimonia privata. Un daimyō in visita da un altro han, forse. Di questi uomini importanti, Kiku ne aveva incontrati molti. Ma quella volta, l’aria aveva un sapore diverso. Più ferroso, più intenso.
Nel giardino nascosto della casa da tè, dove i ciliegi fiorivano con disperata bellezza, la attendeva un uomo solo.
Era alto, le vesti nere, il profilo marcato. Il volto seminascosto da un ventaglio simile al suo.
Si chiamava Kenzo.
Quando i loro sguardi si incrociarono, per un istante il tempo si incrinò.
Il tè fu servito in silenzio. Ogni sorso sembrava colmare un vuoto profondo, un’esitazione. Nessuna parola superflua, solo lo scambio di biglietti nascosti, occhi che cercavano comprensione, mani che sfioravano il legno della tazza nello stesso punto.
Poi, senza che ne comprendesse il perché, Kiku sentì qualcosa sbocciare dentro di sé. Un’emozione che il suo addestramento non le aveva insegnato a nascondere.
Kamakura, presente.
Yumi sollevò lo sguardo dal ventaglio. La pioggia continuava, ma il tempo sembrava distorto. Era come se l’aria attorno a lei avesse accolto l’eco di una presenza antica. Una fragranza floreale appena percettibile indugiava nell’aria, impossibile da spiegare.
E per un attimo, giurò di aver udito il fruscio di un kimono scivolare dietro di lei.
🌑 Capitolo 2 – Ombre sotto la seta
Yumi accese una lampada da lettura e tornò a inginocchiarsi davanti al ventaglio.
La pioggia ora cadeva più forte, tamburellando sulle tegole con un ritmo inquieto. Il cielo si era fatto plumbeo, e nella penombra della kura, le ombre proiettate dai vecchi oggetti sembravano muoversi, allungarsi come dita sottili. L’aria era più fredda. Il legno scricchiolava, ma non c’era vento.
Yumi si obbligò a tornare alla seta. Il crisantemo successivo, un fiore bianco con sfumature d’oro, conteneva altri ideogrammi. Le parole erano più fitte, la calligrafia più agitata, quasi tremolante.
「禁じられた愛は、時に血を招く。」
“L’amore proibito, a volte, chiama il sangue.”
Le dita le tremarono impercettibilmente. Sfiorò altri fiori. Le frasi diventavano più oscure. La seta sembrava pulsare, come se volesse rivelare tutto in una volta ma solo a chi fosse pronto ad ascoltare.
Poi, senza volerlo, sfiorò un crisantemo rosso.
Il mondo cambiò di nuovo.
Edo, primavera del 1768 – notte.
Kiku aveva appena lasciato la sala del banchetto. Il silenzio della notte calava come una coperta troppo pesante, trattenendo ogni suono. Ma dentro di lei, qualcosa era cambiato.
Le mani le tremavano.
Kenzo non era come gli altri. I suoi silenzi erano pieni di intenzione. La sua compostezza era un’armatura. Ma quegli occhi… quegli occhi avevano confessato qualcosa che non poteva essere detto ad alta voce. Né da un samurai, né da una cortigiana.
Kiku rientrò nella sua stanza, chiuse la porta e sciolse lentamente l’obi, sentendo la tensione ancora aggrappata al suo petto. Il ventaglio le cadde dalle mani. Quando si chinò per raccoglierlo, vide qualcosa.
Un segno. Un minuscolo ideogramma inciso sul manico interno, nascosto tra due strati di bambù.
Non era suo.
Era il suo nome. Ma tracciato da una calligrafia diversa. Una mano maschile.
Kiku impallidì.
Chi l’aveva scritto?
E perché?
Un colpo secco interruppe i suoi pensieri. Una porta scorrevole, da qualche parte nella casa, era stata aperta con forza. Subito dopo, voci basse. Due uomini. Uno di loro pronunciò il nome “Kenzo”.
Non c’era rispetto nella voce. C’era veleno.
Kiku si avvicinò alla grata di bambù, il cuore martellava.
— “Sta tradendo il suo dovere, e tu lo sai.”
— “Non è più uno di noi, se continua così.”
— “Quella donna deve sparire.”
Kamakura, presente.
Yumi sussultò.
Il silenzio era tornato nella kura, ma nel suo stomaco c’era un nodo. Una sensazione sgradevole. L’inchiostro sul ventaglio le sembrava più scuro. Alcune lettere parevano sfocate, come se la seta piangesse.
Prese il ventaglio tra le mani, cercando di rassicurarsi. Ma sul bordo notò una cosa che prima non c’era.
Una piccola macchia marrone, rotonda, come un fiore che aveva iniziato a marcire.
No. Non un fiore.
Una goccia.
Di sangue?
⛩️ Capitolo 4 – Il mondo che riaffiora
La mattina seguente, Kamakura si risvegliò sotto un cielo lattiginoso, senza pioggia, ma ancora intriso d’umidità.
Yumi non aveva dormito.
Aveva appoggiato il ventaglio su un futon arrotolato, al centro della kura, come si fa con gli oggetti sacri in un rito antico. Ma qualcosa, dentro di lei, le diceva che non era finita. Anzi: stava appena cominciando.
Mentre si preparava una tazza di tè, notò un odore anomalo. Non era il sencha. Né il legno bagnato.
Era kōdō, incenso da cerimonia, di quelli rari, che sua madre conservava in piccoli contenitori di porcellana smaltata. Eppure non ne aveva bruciato.
Seguì l’aroma.
La portò fino alla veranda sul giardino posteriore, dove un tempo il nonno coltivava peonie. I fiori erano morti da anni. Ma ora, accanto alla pietra del pozzo, qualcosa era stato lasciato.
Un piccolo oggetto, avvolto in un fazzoletto di seta bianca. Lo raccolse con mani incerte. Il tessuto era liscio, fin troppo intatto per essere rimasto lì per caso.
All’interno, c’era un pettine in osso inciso con motivi floreali.
Lo riconobbe subito.
Era identico a quello che Kiku usava nel ricordo.
Ogni dettaglio combaciava. I fiori di crisantemo, le venature, perfino un difetto nella curvatura.
Yumi lo strinse al petto, come se il solo contatto potesse ancorarla. Poi tornò nella kura. Cercò l’immagine nella calligrafia del ventaglio. Sfogliò testi antichi, confrontò modelli, cercò ossessivamente di trovare una spiegazione razionale.
Nulla. Quel pettine non poteva essere lì.
Eppure lo era.
Edo – alcuni giorni dopo.
La notizia si era diffusa silenziosa tra le mura del quartiere come un veleno diluito nel sakè: Kenzo era scomparso.
Alcuni dicevano fosse tornato nel suo feudo. Altri, che fosse stato convocato per una missione segreta. Ma Kiku sapeva.
Sapeva che non era una sparizione volontaria.
Una notte, seguendo un impulso, tornò al giardino del primo incontro. Le lanterne erano spente, e i ciliegi ormai spogli. Sotto una delle pietre piatte che bordavano il sentiero, trovò un biglietto ripiegato mille volte, umido ma ancora leggibile:
「Non è finita. Tienilo con te. Proteggilo. Il nostro segreto vive nel ventaglio.”」
Kiku tremava.
Il ventaglio era già nascosto. Ma ora, sapeva che ciò che conteneva non era solo un ricordo. Era qualcosa di più. Una memoria viva. Forse, un sigillo.
Kamakura, presente.
Yumi portò il ventaglio fuori, nel giardino.
L’aria era immobile. I suoni del quartiere sembravano ovattati, come se il tempo stesso stesse trattenendo il fiato.
Poi lo vide.
Sotto il vecchio albero di susino, tra le radici contorte, c’era una kanzashi, una forcina per capelli, spezzata in due. In argento scolpito. A forma di crisantemo.
Non era lì il giorno prima.
Eppure la pioggia non l’aveva nascosta. Era pulita. Splendente.
Yumi la raccolse, e in quel momento, il ventaglio si aprì da solo tra le sue mani.
I petali sembrarono muoversi.
Un suono si levò nel giardino, basso, vibrante. Come il respiro di qualcuno che si sveglia da un sogno lungo secoli.
Yumi capì.
Il ventaglio non raccontava una storia.
La stava invocando.
🌕 Capitolo 5 – L’ora del fiorire
La notte scese su Kamakura senza rumore.
Il cielo era terso come seta blu scuro, e la luna piena saliva lenta sopra i tetti curvi della casa. Yumi si avvolse in un haori sottile, il ventaglio stretto tra le mani come un’offerta. Il giardino era silenzioso, ma non vuoto.
Era il settimo giorno del settimo mese lunare.
Nel calendario antico, era la notte in cui i mondi si toccano. La notte degli incontri impossibili.
Yumi sentiva la pelle tesa, il cuore battere piano ma profondo. Si inginocchiò sul bordo del patio in legno, dove la pioggia del giorno prima aveva lasciato piccole pozze di luna liquida. Posò il ventaglio di fronte a sé, e accese un bastoncino di incenso.
L’aroma si diffuse lentamente, dolce e amaro, come memoria.
Poi accadde.
L’aria cambiò densità.
Un vento lieve si alzò, anche se non c’erano foglie a muoversi. I bambù non frusciavano. Eppure tutto sembrava pulsare. I crisantemi sul ventaglio si sollevarono appena, come se la seta respirasse.
Yumi non osò toccarlo.
Il crisantemo centrale, quello porpora, si accese di una luce fioca, interna. E una figura si delineò nel giardino, lenta, trasparente, come inchiostro che si stende su carta bagnata.
Una donna.
Indossava un kimono da tayū, pesante, sontuoso. L’obi era alto, le maniche lunghe come ali. Il viso era bianco, ma gli occhi erano vivi. Tristi, ma vivi.
Kiku.
Dietro di lei, una seconda figura. Un uomo. Alto, in abiti da viaggiatore, non da samurai. Kenzo.
I due non si toccavano. Si guardavano soltanto. Ma l’aria tra loro era satura di ciò che non era mai stato detto. Di ciò che non aveva mai potuto compiersi.
Yumi sentì la gola serrarsi. Ma non ebbe paura.
Kiku la guardò.
I suoi occhi sembravano fatti di notte. Poi, le labbra si mossero. Nessun suono uscì. Solo un gesto.
Indicò il ventaglio.
Yumi lo prese con mani tremanti.
I crisantemi si stavano disfacendo. Uno dopo l’altro. I petali si staccavano dalla seta come piume leggere e si dissolvevano nell’aria, lasciando dietro di sé piccole luci.
Ideogrammi luminosi, che fluttuavano, poi cadevano lentamente sul terreno e si spegnevano.
Quando tutto fu finito, restava solo la struttura in bambù.
La figura di Kiku chinò il capo. Un sorriso lieve, triste e grato.
Poi svanì.
Kenzo le rivolse un ultimo sguardo, come se volesse ringraziarla per qualcosa che solo lei aveva potuto compiere. Quando scomparve, il giardino ritrovò il silenzio.
Ma non era più lo stesso.
Kamakura, alba.
Yumi sedeva ancora lì, il ventaglio tra le mani.
La seta era svanita.
Sul pavimento, c’erano tre oggetti.
Il pettine. La kanzashi. E un piccolo foglio piegato.
Lo aprì.
Una sola frase, vergata con un inchiostro che odorava ancora di fiori e fuoco:
「Un amore mai compiuto trova la sua voce in chi sa ascoltare.”」
🍂 Epilogo – Tra le pieghe del tempo
Il giardino, al mattino, aveva un’aria di innocenza che sembrava impossibile dopo ciò che era accaduto. Il sole filtrava tra le fronde, asciugando l’umidità rimasta come lacrime dimenticate. Yumi, con un gesto lento, raccolse gli oggetti: li avvolse uno ad uno in un panno di lino grezzo e li depose in una scatola semplice di legno, senza ornamenti.
Non dovevano essere esibiti. Dovevano essere custoditi.
Da quel giorno, non cercò più nel ventaglio ciò che mancava. Non aprì altri dizionari, non consultò altri archivi. Aveva capito: certe storie non vanno spiegate, ma attraversate.
Ogni volta che passava accanto alla kura, sentiva un calore lieve, come il tepore della pelle sotto il sole di fine estate. Il ventaglio non c’era più, ma qualcosa era rimasto. Una presenza. Un legame.
Come un crisantemo che non appassisce.
Yumi tornò a vivere la sua vita con uno sguardo nuovo. Ogni gesto quotidiano – versare il tè, aprire una finestra, scrivere una lettera – era intriso di consapevolezza. Di silenzio.
E quando, anni dopo, sua nipote trovò quella scatola tra le cose lasciate da Yumi, e notò il piccolo pettine d’osso inciso, la kanzashi e quel foglietto con la calligrafia lieve come il vento, le parve di sentire un fruscio. Un soffio caldo. Come se da qualche parte, tra i petali del tempo, qualcuno avesse appena sussurrato:
“Grazie.”
📚 Glossario
・Daimyō (大名)
Signore feudale del Giappone premoderno, appartenente all’aristocrazia militare. Aveva il controllo di territori e un proprio esercito. I daimyō rispondevano allo shōgun, ma godevano di ampia autonomia.・Edo (江戸)
Antico nome dell’attuale Tokyo. Durante il periodo Edo (1603–1868), fu la capitale amministrativa del Giappone sotto il governo dello shogunato Tokugawa. Famosa per i quartieri di piacere, la vita artistica e le rigide gerarchie sociali.・Geta (下駄)
Tipici sandali giapponesi in legno con due rialzi inferiori (ha), indossati con il kimono. Il loro suono distintivo sul suolo (karan-koron) è spesso evocato nella letteratura e nel teatro giapponese.・Haori (羽織)
Giacca tradizionale giapponese indossata sopra il kimono. Generalmente più corta, veniva portata da uomini e donne, spesso in occasioni formali o per proteggersi dal freddo.・Kanzashi (簪)
Ornamento per capelli usato nelle acconciature tradizionali femminili. Poteva essere realizzato in legno laccato, metallo o osso, ed era spesso decorato con fiori o motivi simbolici. Le cortigiane e le geisha ne facevano largo uso.・Kiku (菊)
Il crisantemo, fiore simbolo dell’autunno e della nobiltà in Giappone. È anche emblema imperiale. In questo racconto assume un significato duplice: bellezza effimera e memoria persistente.・Kōdō (香道)
Letteralmente “via dell’incenso”. È una delle tre grandi arti tradizionali giapponesi insieme a cerimonia del tè (sadō) e arte floreale (kadō). Kōdō è la pratica raffinata di ascoltare e apprezzare i profumi dell’incenso secondo rituali codificati.・Kura (蔵)
Magazzino tradizionale giapponese, spesso in legno o intonacato di bianco, utilizzato per conservare beni preziosi, documenti o oggetti rituali. In molte case antiche era il luogo più silenzioso e isolato.・Obi (帯)
Fascia ornamentale, larga e rigida, utilizzata per chiudere il kimono. Il modo in cui l’obi è annodato può indicare età, ruolo sociale o anche l’appartenenza a una determinata categoria (es. geisha o tayū).・Sencha (煎茶)
Tè verde giapponese di uso quotidiano, ottenuto da foglie intere lavorate a vapore. Ha un gusto fresco, leggermente erbaceo, ed è spesso servito in momenti informali o domestici.・Shōji (障子)
Pannelli scorrevoli tradizionali giapponesi composti da una struttura in legno e carta di riso, utilizzati per dividere gli spazi e diffondere la luce in modo delicato.・Tayū (太夫)
Cortigiana di altissimo rango nel periodo Edo, riconosciuta per la sua cultura, raffinatezza, padronanza delle arti (musica, danza, poesia, cerimonia del tè) e bellezza. A differenza delle geisha, le tayū potevano avere rapporti intimi con i clienti, ma solo su selezione e con rituali precisi.・Uchiwa (団扇)
Ventaglio piatto e rotondo con struttura in bambù, spesso utilizzato nei mesi estivi per rinfrescarsi. Diversamente dai ventagli pieghevoli (sensu), l’uchiwa è rigido e spesso decorato con scene artistiche o motivi simbolici.・Ukiyo (浮世)
Letteralmente “mondo fluttuante”. Concetto estetico e filosofico che definisce la fugacità della vita e il rifugio nei piaceri effimeri. È anche il nome dell’arte dell’ukiyo-e, le stampe che raffiguravano scene di bellezza, teatri, geisha e paesaggi.


