
Il tè dell’ultima luna
Una storia di attesa, memoria e silenziosa bellezza.
Quando Kaede ricevette la lettera dell’eredità, stentò a crederci.
Un’anziana zia di cui sapeva poco—una sorella della nonna, trasferitasi in un remoto villaggio del Kansai dopo la guerra—le lasciava una vecchia chashitsu, una casa da tè in legno di cedro, a pochi passi da un lago nascosto.
Era vedova da poco.
Aveva appena lasciato il lavoro.
I figli erano cresciuti.
Il marito non c’era più.
Non aveva nulla da perdere, e un ricordo sbiadito da ritrovare.
La casa da tè si trovava ai margini di un bosco, vicino al villaggio di Mizu-no-Oka.
Era minuscola, silenziosa, coperta di muschio, ma sorprendentemente intatta.
Sul futon ancora profumava d’incenso.
Nel giardino, le pietre erano disposte con una precisione che parlava di una cura quotidiana, anche nell’assenza.
E lì, tra travi e tatami, Kaede cominciò a vivere diversamente.
Ogni sera preparava il tè seguendo il rito appreso da bambina.
Scaldava l’acqua nella tetsubin.
Setacciava la polvere di matcha.
Versava con gesti lenti.
Poi attendeva.
Un ospite mai arrivato.
Un passato mai chiuso.
Una presenza che non aveva nome.
Il villaggio era piccolo, ma i vecchi ricordavano.
Una donna elegante, solitaria, che negli anni ’50 accoglieva ogni mese un visitatore misterioso.
Veniva solo nelle notti di luna piena.
Parlavano piano, poi tacevano.
Un silenzio denso, come se si dicessero tutto solo con gli occhi.
Poi, un giorno, lui non tornò più.
Ma la donna continuò a preparare il tè, ogni mese, alla stessa ora.
Finché un giorno sparì anche lei.
E la casa rimase chiusa.
Kaede cominciò a fare lo stesso.
Non per imitazione.
Per risonanza.
Ogni mese, nelle notti di luna piena, preparava il tè per due.
E ogni volta, le sembrava che qualcuno fosse lì.
Non vedeva nessuno.
Ma sentiva un respiro caldo nell’aria.
Come se il passato volesse sedersi, almeno per un momento, ancora accanto a lei.
Una notte d’autunno, mentre versava il tè, la tazza tremò lievemente.
Un soffio d’aria sollevò una pergamena da sotto il tokonoma.
Kaede la aprì.
Era una poesia. Scritta a mano. L’inchiostro sbiadito.
“Ti aspetterò tra le ombre del tè,
finché la luna sarà piena,
e il cuore non dovrà più dire nulla.”
Non c’era firma.
Ma da quel giorno, Kaede non fu più sola.
Il tè, il silenzio, la luna piena.
Tre cose semplici.
Tre gesti antichi.
Tre modi per ricordare ciò che non muore.

