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Il custode delle gru

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Ogni mattina, prima ancora che il sole sfiorasse le colline, il vecchio Yukio si recava alla riva del lago.
Con mani pazienti, sedeva sotto il grande salice, circondato da centinaia di origami: gru di carta, piegate una ad una con una cura che solo chi conosce la bellezza della lentezza può comprendere.

Gli abitanti del villaggio dicevano che Yukio fosse l’ultimo custode di un’antica promessa: ogni mille gru piegate, un desiderio viene esaudito.
Ma Yukio non desiderava nulla per sé.
Le sue mani callose piegavano carta per chi aveva dimenticato i sogni, per chi aveva smarrito la strada, per chi, nel rumore del mondo, non riusciva più a sentire il battito delle proprie speranze.

Un giorno d’inverno, mentre la nebbia avvolgeva il lago come un’antica coperta, arrivò una bambina.
Silenziosa, gli si sedette accanto. Non disse nulla.
Solo stringeva forte tra le dita un foglio di carta stropicciato.

Yukio la guardò e sorrise senza parole.
Le porse una gru azzurra, come il cielo che in quei giorni sembrava scomparso.

La bambina annuì appena.
Poi, con gesti incerti ma pieni di determinazione, iniziò a piegare anche lei.
La sua carta, all’inizio, tremava.
Si spezzava sotto le sue dita inesperte.
Ma Yukio non la aiutò.
Aspettò.
Con la pazienza di chi conosce il valore dell’imperfezione.

Quando il primo origami fu terminato, grezzo e sghembo, il vento si alzò dolcemente, e una delle gru di Yukio prese il volo, come sospinta da una mano invisibile.
Una, poi un’altra, poi un’altra ancora.

Il cielo sembrava riempirsi di piccoli battiti bianchi, come se mille anime ritrovassero improvvisamente la via di casa.

La bambina rise, per la prima volta dopo tanto tempo.
Una risata pura, come acqua di sorgente.
Yukio chiuse gli occhi e sollevò il volto verso il cielo.

Quel giorno, comprese: a volte, il desiderio non è qualcosa da chiedere.
È qualcosa da donare.

E nel silenzio del lago, tra il fruscio delle gru di carta, il vecchio custode seppe di avere compiuto la sua promessa ancora una volta.

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