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Il negozio delle ombre dimenticate

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“Ci sono luoghi che non si trovano: si lasciano trovare.”

Kyoto, 15 giugno.
Era una di quelle giornate in cui la pioggia sembrava non voler cadere, ma sospendersi tra cielo e terra. L’aria profumava di terra bagnata, tè verde e antichi segreti.

Noriko, 52 anni, camminava per Gion con l’ombrello piegato sotto il braccio. Nonostante la stagione delle piogge, quel giorno aveva deciso di uscire da sola, lontano dal traffico, dalla routine, e da tutto ciò che l’aveva schiacciata nei mesi passati.

Era arrivata a Kyoto per prendersi una pausa dopo un divorzio lungo e silenzioso. Aveva lasciato Tokyo, il suo appartamento troppo pulito, e il lavoro in azienda che la svuotava.
Aveva bisogno di qualcosa che non sapeva nominare. E spesso, è proprio allora che accadono le cose più strane.

Mentre camminava tra i vicoli silenziosi di Gion Shinbashi, scorse una lanterna accesa sotto la pioggia, rossa sbiadita, senza insegna.
Un piccolo negozio, incastrato tra due case di legno, che non ricordava di aver mai visto.

Spinta da una curiosità sottile, varcò la soglia.

L’interno era senza tempo.
Non c’erano vetrine, né musica. Solo scaffali pieni di oggetti: ombrelli wagasa, pipe kiseru, vecchi ventagli, netsuke scolpiti, specchi scheggiati, fotografie in bianco e nero.
Dietro il bancone, una donna anziana, dai capelli bianchi raccolti, la salutò con un inchino. Non parlava. Ma sembrava sapere tutto.

Noriko si sentì attratta da un piccolo oggetto: un netsuke a forma di gru, in avorio scolpito con grazia quasi impossibile.
Lo prese in mano e sentì una fitta leggera al petto, come una memoria che non le apparteneva. La donna sorrise, le fece segno che era suo.

Non ci fu scambio di denaro. Solo un inchino, e poi il rumore della pioggia di nuovo, quando Noriko uscì.

Quella notte, sognò.

Si ritrovò nel corpo di una donna che non era lei, ma che sentiva come sé stessa.
Indossava un kimono, si truccava con cura, sorrideva sotto la luce tremolante delle lanterne.
Era una geisha del periodo Meiji, che camminava per le stesse strade di Gion, ma cento anni prima.
Nel sogno, danzava. Scriveva poesie. Si innamorava di un cliente che non poteva avere. E piangeva, seduta accanto a una finestra aperta il 15 giugno 1897, guardando la pioggia cadere nello stesso modo.

Noriko si svegliò con il cuore in gola.
Il netsuke era sul comodino. Caldo.
Provò a tornare al negozio.
Ma dove l’aveva trovato, c’era solo un vicolo cieco. Nessuna lanterna. Nessun ingresso.

📜 Cosa era successo?

Iniziò a cercare informazioni. Consultò archivi, parlò con una storica locale. Scoprì che la donna del suo sogno era realmente esistita, e che era scomparsa il 15 giugno, lasciando dietro di sé solo una scatola con oggetti personali. Tra cui… un netsuke a forma di gru.

✨ Epilogo

Noriko non raccontò mai a nessuno l’intera storia.
Ma iniziò a scrivere.
Trascrisse i sogni, le poesie, i gesti di quella vita che le era arrivata attraverso un oggetto.
E per la prima volta, sentì di avere un posto nel mondo che non era più vuoto.

Ora, ogni anno, il 15 giugno, torna a Kyoto.
Lascia una gru di carta sul ciglio del canale di Gion.
E sorride, come se qualcuno la stesse guardando dall’altra parte del tempo.

📌 Approfondimento culturale:

I netsuke erano piccoli oggetti scolpiti, usati per fermare le sacche nei kimono, ma spesso portavano significati personali, familiari o spirituali.

In Giappone si crede che alcuni oggetti antichi conservino “ki”, energia o memoria.

Le date non sono mai scelte a caso: il 15 giugno cade nel cuore della stagione delle piogge (tsuyu), quando il confine tra il mondo visibile e invisibile sembra più sottile.

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