Il Raid Roma-Tokyo del 1920: un’impresa pionieristica dell’aviazione italiana
Nel marzo del 1919, Gabriele D’Annunzio concepì l’idea del raid Roma-Tokyo, ispirato dall’incontro, durante la Grande Guerra, con il poeta giapponese Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi dell’Esercito Italiano. Già protagonista del volo su Vienna, D’Annunzio inizialmente voleva compiere personalmente l’impresa. Per questo motivo, ricevette il sostegno del governo italiano, che vedeva nel progetto un’opportunità per distoglierlo dall’avventura di Fiume.
Introduzione
Il Raid Roma-Tokyo del 1920 rappresenta uno degli episodi più significativi dell’aviazione pionieristica del primo dopoguerra, non soltanto per la sua difficoltà tecnica, ma anche per il valore simbolico e diplomatico che assunse in un’epoca in cui il volo intercontinentale era ancora agli albori. Organizzato dall’aeronautica militare italiana sotto l’impulso del maggiore Gabriele D’Annunzio e del tenente colonnello Arturo Mercanti, l’impresa fu ideata per rafforzare i rapporti tra Italia e Giappone e per dimostrare il livello tecnico e organizzativo raggiunto dall’aviazione italiana.
Il progetto del raid intercontinentale nasce nel quadro postbellico dell’Europa del 1919-1920. Dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale, l’Italia usciva come una nazione vincitrice ma profondamente provata sul piano economico e sociale. La giovane aeronautica militare cercava di affermarsi come forza armata autonoma e di dimostrare le sue potenzialità in tempo di pace. In questo contesto, le imprese aviatorie divennero strumenti di propaganda, veicolo di prestigio nazionale e mezzi per rafforzare le relazioni internazionali.
L’idea del raid Roma-Tokyo si sviluppò nel 1919 come prosecuzione ideale delle traversate oceaniche già tentate da aviatori inglesi e americani, come la trasvolata atlantica di Alcock e Brown. Fu il tenente colonnello Arturo Mercanti, ufficiale del Corpo Aeronautico e appassionato promotore dello sport e dell’aeronautica, a concepire il progetto in stretta collaborazione con Gabriele D’Annunzio, che lo considerava anche un gesto simbolico di affratellamento tra l’Italia e l’Impero giapponese.
L’obiettivo era duplice: da un lato, mostrare la capacità tecnologica dei velivoli italiani e la preparazione dei loro piloti; dall’altro, dare un segnale politico-culturale all’Asia, e in particolare al Giappone, grande potenza emergente e alleato dell’Italia durante la Prima Guerra Mondiale. Il raid fu approvato ufficialmente dal Ministero della Guerra e dall’Aviazione militare italiana, che lo inserì nel programma di valorizzazione dell’aeronautica come forza strategica nazionale.
Preparazione della missione
L’impresa fu preparata con grande cura e in tempi relativamente brevi. Il piano prevedeva un viaggio a tappe di oltre 18.000 chilometri, da Roma fino a Tokyo, attraverso l’Europa sudorientale, il Medio Oriente, l’Asia Centrale e l’Estremo Oriente. Si trattava di una vera sfida per i mezzi dell’epoca, considerando l’affidabilità limitata dei motori, la scarsità di aeroporti attrezzati e l’assenza di strumentazione avanzata di navigazione.
Per l’impresa furono scelti dei velivoli di tipo Ansaldo S.V.A. 9, biplani italiani molto apprezzati per la loro robustezza e versatilità. Ogni velivolo era equipaggiato con motori Isotta Fraschini e poteva trasportare carburante sufficiente per circa 5 ore di volo continuativo. Gli aerei furono adattati per affrontare lunghi tratti senza scali e condizioni meteorologiche estreme.
Tra i membri della missione, il tenente Arturo Ferrarin, pilota esperto già noto per missioni belliche e prove sportive. Al suo fianco, come ufficiale di collegamento e pilota, partecipò anche il tenente Guido Masiero. I loro due equipaggi furono gli unici che giunsero in Giappone. Il progetto prevedeva inizialmente la partecipazione di undici equipaggi, ciascuno formato da due uomini (pilota e meccanico o osservatore), per un totale di 22 partecipanti. Le tappe furono pianificate tenendo conto delle condizioni climatiche stagionali, delle possibilità di rifornimento e dell’ospitalità locale, con la collaborazione delle autorità diplomatiche italiane lungo il percorso.
Partenza
La partenza del raid avvenne il 14 febbraio 1920 da Centocelle, il campo d’aviazione situato nei pressi di Roma, alla presenza di numerose autorità civili e militari. Fu un evento molto sentito dall’opinione pubblica italiana, che seguì con entusiasmo l’impresa, alimentata anche dalla retorica dannunziana del volo come gesto eroico, spirituale e civile.
Il convoglio aereo era composto inizialmente da 11 velivoli, ma già nelle prime tappe alcuni di essi furono costretti a interrompere il volo a causa di avarie meccaniche o incidenti. Solo due equipaggi riuscirono a portare a termine l’intero tragitto fino al Giappone: quello di Arturo Ferrarin e il motorista Gino Cappannini, e quello di Guido Masiero con il motorista Roberto Maretto, anche se Masiero completò parte del viaggio in treno a causa di problemi tecnici, riuscendo comunque a giungere in Giappone.
Il percorso: tappe, paesi sorvolati e durata complessiva
L’itinerario del Raid Roma-Tokyo si sviluppava su una distanza di oltre 18.000 chilometri, distribuiti in più di 30 tappe. Gli aviatori partirono da Roma-Centocelle e attraversarono territori europei, mediorientali, indiani, sud-est asiatici e infine giapponesi, sorvolando Italia, Grecia, Turchia, Siria, Iraq, Iran, Pakistan, India, Birmania, Thailandia, Indocina, Cina, Corea e Giappone.
Le tappe principali inclusero:
• Atene
• Smirne
• Costantinopoli
• Aleppo
• Bagdad
• Bushehr
• Karachi
• Delhi
• Calcutta
• Rangoon
• Bangkok
• Hanoi
• Shanghai
• Seul
• Fukuoka
• Tokyo
La durata complessiva dell’impresa fu di circa 106 giorni, dall’avvio a febbraio fino all’arrivo a Tokyo il 30 maggio 1920. La lentezza dell’avanzata fu determinata non solo dalle condizioni meteo e dalle avarie tecniche, ma anche dai lunghi tempi di attesa per il rifornimento, per le autorizzazioni diplomatiche e per le riparazioni.
Le difficoltà incontrate
La maggior parte degli aerei partiti da Roma non riuscì a completare la missione. Furono molteplici le cause:
• Avarie tecniche: motori, eliche e strutture dei velivoli non erano concepiti per un simile sforzo prolungato.
• Condizioni meteorologiche estreme: tempeste di sabbia in Persia, piogge monsoniche in Birmania e nebbie fitte in Cina.
• Assenza di infrastrutture: scali non attrezzati, piste improvvisate, mancanza di carburanti e pezzi di ricambio.
• Ostacoli politici: permessi di sorvolo difficili da ottenere, diffidenze locali verso le attività aeree straniere.
• Problemi sanitari e fisici: i piloti soffrirono di stanchezza cronica, febbri tropicali e difficoltà di orientamento.
Solo due equipaggi completarono il percorso fino a Tokyo:
1. Tenente Arturo Ferrarin con il motorista Gino Cappannini.
2. Tenente Guido Masiero con il motorista Roberto Maretto – Masiero arrivò in treno nella parte finale, mentre il motorista completò in volo con un altro pilota.
Gli altri equipaggi si fermarono in tappe diverse, spesso dopo aver affrontato incidenti o essere stati costretti ad atterraggi d’emergenza.
Harukichi Shimoi: l’uomo ponte tra Italia e Giappone
Una figura centrale, seppur poco ricordata, nell’ideazione e nello spirito culturale del Raid Roma-Tokyo fu Harukichi Shimoi (1883–1954), poeta, intellettuale, professore e mediatore culturale giapponese naturalizzato italiano.
Nato a Kumamoto (Giappone), Shimoi si trasferì in Italia nei primi anni del Novecento, dove divenne docente di lingua e letteratura giapponese all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Durante la Prima Guerra Mondiale si arruolò volontario nelle fila italiane come ufficiale di complemento, animato da una profonda ammirazione per l’ideale risorgimentale italiano. Shimoi fu anche vicino a Gabriele D’Annunzio, con il quale collaborò come interprete e consigliere culturale.
Fu proprio Shimoi a suggerire l’idea di un volo tra Italia e Giappone come “ponte spirituale tra due civiltà guerriere e poetiche”. Per lui, l’aeronautica rappresentava un’epifania del genio moderno, capace di unire Oriente e Occidente su una base di eroismo e bellezza. Il suo coinvolgimento fu determinante nel favorire i rapporti diplomatici tra le due nazioni e nel preparare il terreno per l’accoglienza giapponese.
Nel 1920, Shimoi tornò in Giappone poco prima dell’arrivo degli aviatori italiani e fu uno dei principali organizzatori dell’accoglienza a Tokyo. Scrisse anche numerosi articoli e resoconti sul significato dell’impresa, valorizzandola come manifestazione di amicizia italo-nipponica. Rimase fino agli anni Trenta un riferimento della diplomazia culturale tra i due paesi e uno dei primi intellettuali giapponesi moderni a sostenere l’influenza reciproca tra estetica zen e cultura europea.
L’arrivo in Giappone
Dopo oltre tre mesi di volo e di peripezie, l’equipaggio del tenente Arturo Ferrarin e del motorista Gino Cappannini fu il primo a giungere sul suolo giapponese. Il 30 maggio 1920 atterrarono all’aeroporto militare di Tokorozawa, nei pressi di Tokyo, dove furono accolti con entusiasmo da ufficiali dell’esercito giapponese, rappresentanti del governo e da una folla numerosa.
Pochi giorni dopo giunse anche Guido Masiero, che aveva dovuto lasciare il volo a metà tragitto ma aveva raggiunto il Giappone via terra e ferrovia, ricongiungendosi con il motorista Maretto, che completò il viaggio con un altro pilota.
L’arrivo degli aviatori italiani fu percepito come un evento straordinario non solo per la sua portata tecnica, ma per il messaggio politico e culturale che portava con sé. Per la prima volta nella storia, un volo partito dall’Europa giungeva nell’arcipelago nipponico: si trattava di una vera impresa pionieristica a livello mondiale.
Accoglienza e soggiorno in Giappone
Il governo giapponese, colpito dalla determinazione e dal successo degli italiani, organizzò una accoglienza trionfale. Il 31 maggio si tenne una cerimonia ufficiale con la presenza di rappresentanti dell’Impero giapponese, dell’ambasciata italiana e delle autorità civili e militari. Ai piloti furono conferite onorificenze, tra cui l’Ordine del Sol Levante, una delle più alte onorificenze dell’Impero.
Durante il soggiorno, che si protrasse per diverse settimane, gli aviatori visitarono Tokyo, Kyoto e Osaka, ospiti del governo e dell’Aeronautica imperiale. Furono ricevuti anche dall’imperatore Taishō, in un’udienza privata di grande rilievo simbolico. I giornali giapponesi li descrissero come “guerrieri del cielo venuti da Occidente”, e la loro impresa fu interpretata come manifestazione di progresso e fratellanza.
In quei giorni, Harukichi Shimoi ebbe un ruolo centrale come interprete, mediatore culturale e promotore dell’immagine degli aviatori. Accompagnò Ferrarin e Masiero in diverse visite ufficiali, presentandoli anche in ambienti culturali e letterari.
Reazioni della stampa giapponese e internazionale
La stampa giapponese accolse l’arrivo degli aviatori con toni entusiastici. Il quotidiano Asahi Shimbun scrisse il 1° giugno 1920:
“I figli dell’Italia, spinti da un ideale di coraggio e fratellanza, hanno sfidato il cielo e i confini della Terra. Il loro volo è un ponte tra il Fuji e il Tevere, tra il Sol Levante e il sole mediterraneo.”
Anche la stampa italiana celebrò ampiamente il successo. Il Corriere della Sera del 2 giugno riportava:
“L’impresa del Ferrarin e dei suoi compagni non è solo una conquista della tecnica, ma una pagina epica della nostra giovinezza aviatoria. Roma ha abbracciato Tokyo, e l’Italia ha trovato un nuovo amico nel Giappone imperiale.”
Il raid fu menzionato anche in giornali internazionali, tra cui il Times di Londra e il New York Herald, che sottolinearono la portata geopolitica dell’impresa. In un mondo in cui i voli a lungo raggio erano ancora rari, l’Italia dava prova di essere all’avanguardia nel settore aeronautico.
Aneddoti e curiosità
• Ferrarin fu soprannominato “l’uccello del Tevere” dalla stampa giapponese, per evocare il simbolismo del viaggio aereo tra Roma e Tokyo.
• Il pilota Masiero, che aveva perso parte del viaggio per problemi tecnici, fu egualmente accolto con tutti gli onori e celebrato come esempio di tenacia. Fu lui a donare al governo giapponese una sciarpa firmata da tutti gli aviatori partiti da Centocelle.
• L’aereo di Ferrarin fu esposto a lungo nel Museo dell’Aeronautica di Tokorozawa come simbolo dell’amicizia italo-giapponese. Oggi ne resta solo parte della fusoliera.
• Harukichi Shimoi, pochi anni dopo, pubblicò articoli in italiano e giapponese sull’impresa, evidenziando il ruolo spirituale del volo come esperienza di “superamento dei limiti terrestri”.
• L’impresa ispirò opere d’arte, tra cui una serie di xilografie giapponesi che raffiguravano l’aereo italiano sorvolare il Monte Fuji.
L’eredità del Raid Roma-Tokyo
Il Raid Roma-Tokyo non fu solo una straordinaria impresa aviatoria, ma anche un potente strumento di diplomazia culturale. In un’epoca in cui il volo intercontinentale era ancora agli albori, l’Italia seppe sfruttare l’audacia dei propri aviatori per consolidare la propria immagine internazionale, mostrandosi come nazione capace di progresso tecnologico e visione geopolitica.
Sul piano aeronautico
L’impresa contribuì a rafforzare la fama dell’aviazione italiana, già emersa durante la Prima Guerra Mondiale con figure come Francesco Baracca e Italo Balbo. Il volo intercontinentale dimostrava che l’Italia possedeva piloti, progettisti e motori in grado di affrontare distanze e ambienti ostili. A differenza delle missioni prettamente militari, questo raid aveva una valenza civile, culturale e simbolica, anticipando il ruolo dell’aviazione come mezzo di comunicazione globale.
L’esperienza raccolta durante il raid fu poi impiegata nella pianificazione di missioni successive, come la Crociere Atlantica organizzata da Balbo negli anni Trenta, in cui l’aeronautica italiana cercò di mostrare capacità strategiche e organizzative su scala mondiale.
Sul piano diplomatico
Il successo della missione rafforzò i rapporti tra Italia e Giappone, già favorevoli per motivi culturali e geopolitici. Entrambe le nazioni erano uscite vittoriose dalla Prima Guerra Mondiale, seppur in ruoli differenti, e cercavano un posto riconoscibile nel nuovo assetto internazionale.
L’arrivo dei piloti italiani fu accolto dal Giappone come segnale di prestigio e di apertura verso l’Occidente. La figura di Harukichi Shimoi facilitò l’interpretazione simbolica dell’evento, aiutando i giapponesi a comprendere lo spirito del gesto italiano come atto di amicizia e stima. Shimoi, già vicino agli ambienti letterari giapponesi, divenne un ambasciatore informale del pensiero mediterraneo in Oriente.
Il raid contribuì anche a consolidare una relazione bilaterale che, pur tra alti e bassi, si sarebbe approfondita fino al periodo interbellico. Le visite reciproche, gli scambi culturali e la crescente curiosità verso la tecnologia occidentale furono tutti rafforzati da questo episodio di eroismo congiunto.
L’impresa ebbe una risonanza anche sul piano immaginario. L’idea di unire Roma e Tokyo, due capitali imperiali, fu letta come un atto epico e quasi mitologico: due civiltà millenarie che si tendevano la mano attraverso il cielo. Le immagini degli aerei italiani sullo sfondo del Monte Fuji vennero riprodotte su giornali, manifesti e illustrazioni, e l’impresa fu oggetto di racconti e memorie pubblicate negli anni successivi.
Il raid ispirò anche forme d’arte e letteratura, tra cui componimenti poetici, testi celebrativi e illustrazioni propagandistiche, spesso realizzate in uno stile che fondeva estetica futurista e simbolismo orientale.
Gli aviatori del Raid Roma-Tokyo del 1920 furono insigniti di prestigiose decorazioni sia dall’Italia che dal Giappone, in riconoscimento della loro straordinaria impresa aeronautica e del contributo alla diplomazia tra i due Paesi.
Decorazioni Italiane
Medaglia d’Oro al Valore Aeronautico – Conferita ad Arturo Ferrarin per il successo del raid e il contributo all’aviazione italiana.
Medaglia d’Argento al Valore Militare – Assegnata a Guido Masiero, che completò il viaggio fino a Tokyo.
Croce di Guerra al Valor Militare – Riconoscimento per il coraggio e la determinazione degli aviatori.
Encomio Solenne del Regio Esercito – Conferito agli equipaggi per l’impresa pionieristica.
Decorazioni Giapponesi
Ordine del Sol Levante (旭日章, Kyokujitsu-shō) – Una delle più alte onorificenze giapponesi, assegnata a Ferrarin e Masiero per il loro contributo alle relazioni tra Italia e Giappone.
Medaglia Imperiale al Merito – Conferita dagli ufficiali giapponesi in segno di gratitudine per l’impresa.
Diploma d’Onore dell’Imperatore Taishō – Un riconoscimento speciale per il successo del raid e il rafforzamento dei legami tra i due Paesi.
L’impresa fu celebrata con cerimonie ufficiali sia in Italia che in Giappone, e gli aviatori furono accolti con grande entusiasmo a Tokyo. Ancora oggi, il Raid Roma-Tokyo è ricordato come un evento epocale nella storia dell’aviazione mondiale.
Glossario
Aeroplano SVA (Savoia-Verduzio-Ansaldo)
Velivolo italiano monomotore, impiegato con successo durante la Prima Guerra Mondiale. Fu usato nel raid per la sua robustezza, autonomia e leggerezza.
Raid aereo
Impresa di volo programmata su lunga distanza, spesso con scopi simbolici, esplorativi o di propaganda, piuttosto che militari.
Harukichi Shimoi
Intellettuale giapponese, naturalizzato italiano, che contribuì a promuovere i rapporti culturali tra Italia e Giappone. Fu vicino a D’Annunzio e sostenitore dell’impresa Roma-Tokyo.
Tokorozawa
Base aerea militare giapponese nei pressi di Tokyo, prima pista d’atterraggio del Giappone. Luogo dell’arrivo degli aviatori italiani nel 1920.
Bibliografia ragionata
Fonti primarie
• Arturo Ferrarin, Voli per il mondo, Milano, Mondadori, 1930. – Resoconto diretto del raid, scritto con tono epico e patriottico.
• Harukichi Shimoi, Il volo Roma-Tokyo: ponte di civiltà, Napoli, 1921. – Raro pamphlet dell’autore giapponese, stampato in edizione privata.
• Articoli da Il Corriere della Sera (aprile-giugno 1920) e Asahi Shimbun (giugno 1920). – Consultabili in archivi storici cartacei o microfilmati.
Studi storici e saggi
• Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della marina italiana nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1987. – Include un capitolo sul contesto dell’aeronautica italiana post-bellica.
• Giuseppe Ghini, L’aviatore del Sol Levante: Harukichi Shimoi tra Oriente e Occidente, Roma, Edizioni Orientalia, 2008. – Biografia completa di Shimoi, con focus sulla sua mediazione tra Italia e Giappone.
• Marco Scolaris, Ali sul mondo. L’aeronautica italiana tra le due guerre, Torino, Einaudi, 1995. – Contesto storico-tecnico e propagandistico delle imprese aviatorie italiane.
• Paolo Ferrari, Il volo Roma-Tokyo del 1920, in «Rivista Aeronautica», n. 3/1970. – Uno dei primi studi moderni a ripercorrere le tappe del raid in chiave documentale.
Conclusione: Il volo che unì due mondi
Il Raid Roma-Tokyo del 1920 non fu solo un’impresa aeronautica senza precedenti, ma un simbolo di speranza in un’epoca segnata dalla ricostruzione postbellica. Più che un traguardo tecnico, rappresentò una dichiarazione di fiducia nel futuro, nella comunicazione tra popoli e nella possibilità di superare confini materiali e mentali.
Grazie al coraggio e all’ingegno di Arturo Ferrarin e Guido Masiero, affiancati dai motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto, l’Italia dimostrò la sua eccellenza aeronautica e rafforzò i legami con il Giappone. Il raid divenne un esempio pionieristico di soft power, mostrando come la diplomazia potesse librarsi nei cieli e costruire ponti invisibili tra culture lontane.
Oltre alla sfida tecnologica, l’impresa racchiudeva un profondo significato umano e culturale. Come scrisse Harukichi Shimoi nel 1921:
“Il cielo è senza confini. Gli uomini, volando, lo scopriranno prima o poi.”
Queste parole risuonano ancora oggi, ricordandoci che ogni viaggio è un passo verso un mondo più unito, in cui il coraggio e la visione possono abbattere qualsiasi barriera.
Appendice:
Il viaggio di Ferrarin e Masiero
La partenza degli aviatori Arturo Ferrarin e Guido Masiero ebbe luogo il 14 febbraio 1920, alle ore 11:00, dall’aeroporto di Centocelle, a Roma. La prima tappa fu a Gioia del Colle, in Puglia, a causa di guasti tecnici riscontrati su entrambi i velivoli. La successiva destinazione fu Valona, in Albania, allora ancora occupata da truppe italiane sin dal 1914. Da lì i due aviatori si spostarono a Salonicco, e successivamente a Smirne, all’epoca sotto occupazione greca.
Dopo Smirne, tentarono di raggiungere Adalia, ma un’avaria li costrinse a un atterraggio intermedio ad Aydın. Una volta giunti ad Adalia, occupata da forze italiane, proseguirono verso Aleppo e poi verso Baghdad. Qui, Ferrarin fu costretto ad atterrare su un campo dove si stava disputando una partita di calcio. Il 23 febbraio i due ripartirono per Bassora, dove Ferrarin attese Masiero per tre giorni prima di riprendere il volo.
La tappa successiva fu Bandar Abbas, ma condizioni meteorologiche avverse costrinsero Ferrarin a un atterraggio a Bushehr. Dopo un tentativo fallito per problemi al radiatore, riuscì infine a raggiungere Chabahar. Da lì puntò verso Karachi, ma fu costretto a un atterraggio imprevisto nei pressi di un villaggio controllato da ribelli anti-britannici. Fortunatamente, il tricolore italiano fu scambiato per quello bulgaro, e Ferrarin fu lasciato andare indenne. Raggiunse così Karachi, dove si riunì con Masiero, arrivato direttamente da Bandar Abbas.
Proseguirono poi verso Delhi, con tappe a Hyderabad e ad una stazione ferroviaria. Da Allahabad giunsero infine a Calcutta, antica capitale dell’Impero Anglo-Indiano. Dopo una lunga sosta, Ferrarin si rimise in volo, forse con un nuovo aereo (secondo alcune fonti), raggiungendo Akyab e successivamente Rangoon, ultima tappa sotto amministrazione britannica. Lungo la tratta da Baghdad alla Birmania, le autorità britanniche garantirono il massimo supporto logistico.
Dopo le necessarie riparazioni a Rangoon, Ferrarin, senza Masiero già ripartito, raggiunse Bangkok, capitale del Siam, poi Ubon, quindi Hanoi in Vietnam, dove ritrovò il compagno. Il 21 aprile, Ferrarin decollò nuovamente: dopo due atterraggi intermedi, su un isolotto del Mar Cinese Meridionale e poi a Macao, giunse a Canton. Di lì proseguì per Foochow e infine per Shanghai.
L’arrivo in Giappone
Dopo una sosta di una settimana a Shanghai, Ferrarin ripartì per Tsingtao, allora sotto controllo giapponese. Le autorità locali lo informarono che, al suo arrivo in Giappone, sarebbe stato omaggiato con una katana d’oro e che il suo aereo sarebbe stato esposto a Tokyo—come poi avvenne fino al 1933, quando il velivolo venne demolito per le sue condizioni irrecuperabili.
Ferrarin raggiunse quindi Pechino, dove fu ospitato e celebrato per una settimana. Da lì proseguì per Kow Pangtzu, nei pressi di Mukden, poi per Sinŭiju, in Corea (all’epoca parte dell’Impero giapponese). Decise di sorvolare Port Arthur, città simbolica per la guerra russo-giapponese.
Successivamente atterrò a Seul, tappa voluta dalle autorità giapponesi e italiane, e poi a Taegu, ultima fermata sul continente asiatico. Per ordine del governo nipponico, fu costretto a evitare il sorvolo di Pusan e Tsushima, adottando una rotta più lunga verso Osaka, dove atterrò il 30 maggio, accolto con entusiasmo dalla popolazione.
L’ultima tappa fu Tokyo, dove atterrò nel Parco Yoyogi. Qui fu accolto da un caloroso bagno di folla e ricevuto dal principe ereditario Hirohito e dall’imperatrice Teimei.
Incidenti degli altri equipaggi
Degli undici velivoli impiegati per il raid, solo quelli di Ferrarin e Masiero arrivarono in Giappone. Gli altri subirono incidenti che ne impedirono il completamento:
– Abba e Garrone persero il loro aereo a Salonicco.
– Il Caproni di Sala e Borello ebbe un’avaria lungo il fiume Meandro.
– A Konya, in Turchia, si concluse il viaggio di Origgi e Negrini, catturati il 2 settembre; il loro aereo fu distrutto.
– Sul deserto siriano, Scavini e Bonalumi, a bordo di un Caproni trimotore, dovettero rinunciare all’impresa.
L’incidente più grave avvenne a Bushehr, in Persia: Gordesco e Grassa morirono quando il loro SVA.9 si incendiò e precipitò durante il decollo. In loro onore, per volontà dell’imperatrice Teimei, fu celebrato un rito funebre in un tempio della capitale giapponese, alla presenza degli aviatori italiani.