Era una sera come tante. Non c’era stato un gran viavai alla taverna, a causa della pioggia che aveva iniziato a cadere su Kyoto fin dal mattino. Non era forte, solo una leggera pioggerellina tipica della primavera. Tuttavia, molte persone avevano preferito rimanere a casa, perfino la signora Fumiko, che non mancava mai una sola serata — eccetto il mercoledì, giorno di chiusura.
L’unico cliente abituale a presentarsi per “assaggiare” un nuovo tè fu il solito Haruki. “Sei davvero strano in questo periodo!” pensò Aya, vedendolo assorto nei suoi pensieri, con la testa letteralmente tra le nuvole. “Sarà innamorato…” rifletté, ridendo tra sé.
Quella notte decise di chiudere il locale a mezzanotte, un’ora prima del solito. Uscì dalla taverna con Yoru, non prima di aver indossato il suo giubbotto rosso, quello che le aveva regalato zia Rumiko l’anno precedente. Anche se era piena primavera, aveva scelto di mettere un maglioncino beige e dei jeans; soffiava una brezza sottile.
Yoru le zampettava accanto, sempre con gli occhi vigili, in cerca di qualcosa.
«Sei sempre all’erta, Yoru?» chiese amabilmente Aya, riponendo l’ombrello nel suo zainetto. La pioggia aveva smesso di cadere.
Decise di percorrere un viottolo che le avrebbe permesso di arrivare a casa più rapidamente. I lampioncini illuminavano la strada con una fioca luce gialla. Improvvisamente, sentirono un lamento, una voce che diceva qualcosa, ma le parole erano indistinte.
L’origine di quei gemiti era un uomo, sulla settantina, che appariva chiaramente confuso. Ruotava su sé stesso e ripeteva frasi come:
«Dove sono? Dov’è casa? Aiuto…»
Era vestito elegantemente, con giacca e cravatta. Aya si avvicinò e, con la sua consueta gentilezza, gli chiese cosa fosse successo.
L’anziano, inizialmente stranito dalla presenza della ragazza e del gatto, si calmò leggermente e disse:
«Grazie. Non so cosa mi stia succedendo. Pochi minuti fa ero a casa, sono uscito e la testa ha iniziato a girare. Non ricordo altro, nemmeno il mio nome o dove abito!»
«Dove mi trovo?» chiese.
«Siamo nel quartiere di Arashiyama. È di qui?»
«Non lo so… non ricordo… non ricordo…» si chiuse in un silenzio profondo, lo sguardo perso nel vuoto.
Aya e Yoru si guardarono, interdetti. Lei decise di chiamare il 119 per far intervenire un’ambulanza. Tirò fuori il cellulare dallo zaino, ma Yoru la bloccò. Emise un miagolio stridulo e puntò il muso verso un acero poco distante. Aya si voltò di scatto e vide un’ombra muoversi.
Yoru non ci pensò due volte e si lanciò coraggiosamente contro l’ombra, che arretrò finendo contro un muretto vicino all’albero.
«Tieni lontano quel mostro! Via, via, non ti avvicinare!»
L’ombra stava urlando impaurita. “Impaurita da Yoru?” si domandò Aya.
Il gatto iniziò a soffiare minacciosamente contro il misterioso individuo, che continuava a urlare:
«Va via, mostro!»
Yoru aveva il pelo drizzato, gli artigli pronti per l’attacco e gli occhi verdi fissi sul nemico che aveva di fronte.
Aya intervenne:
«Calmati, Yoru. Vediamo prima chi è.»
Il gatto si calmò, assumendo un atteggiamento quasi normale, senza mai perdere d’occhio l’ombra.
«Chi sei?» chiese la ragazza.
«Va bene, calma. Mi faccio vedere, ma tieni a bada quel mostro!»
Pian piano l’ombra uscì allo scoperto. Aya non poteva credere ai suoi occhi.
Aveva la parvenza di un ragazzo, con la pelle color mattone, gli occhi tutto sommato gentili e un sorriso ancora spaventato per colpa di Yoru. Tuttavia, due particolari non potevano passare inosservati: aveva un naso lunghissimo e un paio di ali da corvo attaccate alla schiena. Il suo abito sembrava uscito direttamente da una stampa di Tsukioka Yoshitoshi.
Il “ragazzo” era un Tengu.
Aya era abituata ai suoi strani incontri, ma un Tengu non le era mai capitato.
«Sì, sono un Tengu, ragazza! Non hai paura?»
«A dire il vero, qui quello terrorizzato sei tu, non io né tantomeno il mio gatto!» rispose sorridendo Aya.
«Non ridere! Porta rispetto! Purtroppo ho paura dei gatti da quando ero piccolo… più o meno quattrocento anni fa.»
Aya si stupì dell’affermazione, pur sapendo che i Tengu, come molte creature del mondo soprannaturale, erano di fatto immortali.
Calmatasi la situazione, nonostante il Tengu continuasse a controllare Yoru e Yoru facesse lo stesso, Aya iniziò a parlare:
«Come mai sei qui? E come ti chiami? Io sono Aya e lui è il mio gatto, Yoru ‘il terribile’.» disse ridendo.
«È un piacere, occhi verdi! Io sono Jojo-Yo, nipote di Sōjōbō, il re dei Tengu.»
«E sul perché sono qui… beh, mi stavo annoiando e ho deciso di svagarmi praticando un Tengu Kakushi (天狗隠し) con questo anziano.»
«Un… cosa?» chiese Aya, aggrottando le sopracciglia.
«Oh, beh, diciamo che… ma solo per scherzo, eh! Senza cattive intenzioni…»
«Continua!» esclamò Aya, e il suo sguardo divenne quasi severo quanto quello di Yoru.
«È una vecchia pratica di noi Tengu: diciamo che rapiamo le persone, le confondiamo, gli facciamo perdere la memoria e le catapultiamo anche a chilometri di distanza da casa.»
«Cosa?» urlò Aya, chiaramente irritata.
Yoru, sentendo quelle parole, mostrò gli artigli e si mise in posizione d’attacco.
«No, ti prego, fallo calmare! Ti prometto che lo riporterò a casa sua e non ricorderà nulla!»
«Allora ti consiglio di farlo, prima che il mio gatto perda la pazienza! E si può sapere da dove viene questo signore?»
«Ah, ehm… diciamo da un luogo a una distanza relativamente breve da Kyoto.»
«Dove?»
«L’ho… rapito a Tokyo.»
Yoru, sentendo quella frase, iniziò a soffiare così forte da sembrare un treno a vapore.
«Aiuto! No, davvero, lo riporto subito! Parola di Tengu!»
Aya sospirò. «Va bene, ti credo, ma questi non sono scherzi da fare—soprattutto con persone anziane!»
Jojo-Yo rifletté un attimo. “Persone anziane? Se potrei essere il suo bis-bis-bisnonno!”
Dopo essersi scusato ancora, avvolse l’anziano in un vortice apparso all’improvviso e ci si tuffò anche lui, salutando Aya e Yoru:
«Forse ci vedremo ancora, ragazza dagli occhi verdi, ma eviterei la presenza di quel mostro nero che porti con te!»
Tornato il silenzio, Aya e Yoru si guardarono intorno. Non c’era più nessuno.
«Meno male!» pensò lei, sollevata.
«Prima o poi dovremmo scrivere un libro su queste strane notti di Kyoto, non credi, Yoru?»
Il gatto miagolò soddisfatto, aveva terrorizzato addirittura un Tengu. I suoi avi felini ne sarebbero stati orgogliosi.
E così i due si incamminarono verso casa. Aveva ricominciato a piovere, una leggera pioggia primaverile.
Poco più in là, due ombre li osservarono in silenzio, finché la ragazza e il gatto non sparirono alla loro vista.
«Una fanciulla interessante. Due smeraldi per occhi e coraggio da vendere.»
«Sì, mio signore. Vuole che la faccia controllare?»
«No, Karasuba, per ora no. Sono certo che la incontreremo ancora. Provvedi a punire mio nipote, ma senza esagerare, affinché capisca come ci si deve comportare.»
«Sì, mio signore.»
Dopodiché, i due—Sōjōbō, re di tutti i Tengu, e il suo fido attendente, Karasuba—volarono via, tornando al monte Kurama…