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Una gita sul Monte Koya – 3 di 3

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Quella notte il ryokan era immerso nel silenzio più totale. Non un fruscio tra i bambù, non un cigolio del legno antico, neppure un miagolio da parte di Yoru, che dormiva profondamente ai piedi del futon.

Aya si svegliò all’improvviso, senza sapere perché. Non era un rumore a richiamarla, ma qualcosa di più sottile, una presenza, un richiamo. Si alzò lentamente, facendo attenzione a non svegliare i genitori. Indossò i suoi abiti, mise anche una felpa per proteggersi dal fresco intenso della notte, e aprì piano la porta scorrevole.

Fuori, la luna piena illuminava ogni cosa con una luce argentea e l’aria era immobile, quasi irreale. Tutto era immobile. Persino il vento sembrava trattenere il respiro.

Aya uscì dal ryokan; il suo sguardo percorse il giardino, finché lo rivide.

 

Lo strano monaco era lì. Apparso dal nulla, come se fosse stato sempre parte del paesaggio. Stava in piedi tra le lanterne spente, immobile. Solo il suo kasa, il cappello di paglia, si mosse lievemente quando alzò il volto.

I suoi occhi neri incontrarono quelli verdi di Aya.

«Buonanotte, Occhi Verdi», disse con voce dolce e lieve, come un sussurro che si confondeva col battito del cuore.

Aya non ebbe paura. In quel momento si sentì pervasa da una calma profonda; percepiva che il monaco non era una minaccia, anzi…

«Vuoi fare due passi con me?» chiese il monaco, voltandosi verso un sentiero nel bosco che Aya non ricordava di aver visto prima.

Lei esitò solo un istante, poi annuì e lo seguì, lasciandosi alle spalle la luce del ryokan.

Camminarono in silenzio, lungo il sentiero illuminato dalla luna. Gli alberi, altissimi, sembravano ascoltarli. Il suono dei loro passi era assente, come se non toccassero realmente il suolo.

 

«Aya…», disse il monaco, senza che lei gli avesse mai detto il suo nome. «A Kyoto hai mai vissuto strane esperienze notturne?»

Aya lo guardò stupita. «Sì, spesso incontro esseri soprannaturali, kami, spiriti e strane creature delle nostre leggende. Ho imparato a non averne paura, anzi con alcuni ho anche sviluppato una sorta di amicizia. Ma non so spiegare perché succeda proprio a me.»

Il monaco sorrise. «E i tuoi occhi… sai perché li hai verdi?»

Aya scosse la testa. «No. Ho sempre pensato fosse un caso. Uno scherzo della genetica, forse.»

Il monaco si fermò e la fissò con intensità con quei suoi profondi occhi neri.

«Non esistono scherzi di questo genere. C’è sempre una ragione, ma un giorno, quando sarà il momento, lo scoprirai. Capirai perché sei qui, perché vedi ciò che gli altri non vedono. Perché senti ciò che gli altri ignorano.»

Poi, abbassò lo sguardo, quasi parlando a se stesso:

«In fondo, non cerchiamo tutti il perché della nostra presenza in questo mondo?»

 

Aya rimase in silenzio. Quelle parole si deposero dentro di lei come gocce in uno stagno calmo.

Continuarono a camminare, ma quando sollevò di nuovo lo sguardo, si accorse che erano tornati di fronte al ryokan.

«Abbiamo girato in tondo?» chiese, perplessa.

Il monaco sorrise enigmatico. «Tutte le strade, a volte, portano dove l’anima ha bisogno di essere.»

Poi fece un passo indietro, nella nebbia che cominciava a sollevarsi dal terreno.

«Ci rivedremo, Aya dagli occhi verdi.»

E, detto questo, scomparve, come inghiottito dalla nebbia.

Aya restò a guardare per qualche secondo e si accorse che anche il sentiero percorso con il monaco era scomparso. “Fortunatamente ormai sono abituata a incontri strani…” pensò tra sé.

Poi, tornò lentamente nella stanza. I suoi genitori dormivano profondamente, e Yoru, acciambellato, russava piano.

 

La mattina dopo, l’aria pulita sapeva di ‘buono’ e il sole giocava con le foglie di bambù.

«Dobbiamo assolutamente tornare, ci sono ancora molte cose da vedere e scoprire sul monte Koya.» disse il padre entusiasta mentre caricava i bagagli nell’auto.

Prima di partire, Aya si avvicinò alla signora Yoko, la proprietaria del ryokan, per ringraziarla. Fu allora che notò, sul piccolo mobiletto vicino all’ingresso, che c’era una statuetta in legno, raffigurante un monaco col kasa calato sugli occhi e un lieve sorriso enigmatico.

Somigliava perfettamente allo strano monaco.

Aya si immobilizzò. Ma certo che era lui, con lo stesso particolare sorriso.

«Scusi… chi rappresenta questa statuetta?»

Yoko guardò con dolcezza la statua. «Oh, lui? È ovviamente Kōbō Daishi! Egli veglia da secoli su questo luogo e qualcuno è disposto a giurare che ogni tanto appaia a qualche persona fortunata.» disse con un leggero sorriso.

Aya non rispose. I suoi occhi verdi restarono fissi sulla statuetta.

Uscì nel sole del mattino, seguita da Yoru che prima si fermò un istante a fissare anche lui la figura in legno. Poi si voltò e corse verso l’auto.

Aya, in silenzio, tornò a pensare alle parole del monaco.

“Ci rivedremo, Aya dagli occhi verdi.”

Il vento del mattino le sollevò una ciocca di capelli. E in quel fruscio lieve le parve di sentire una risata amichevole trasportata dal vento, lontano, molto lontano…

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